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6 Settembre 2010

Vitamina D: difese immunitarie e infiammazione, trattamento in FC

Autore: Luciano
Domanda

Alla luce di quanto scritto in questa pagina web che parla della Vit.D (http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Vitamina_D:_un_fattore_cruciale_per_il_sistema_immunitario/1342379), che di seguito riporto integralmente, quali sono le possibili prospettive e/o aspettative in ambito FC? Ci sono ipotesi per possibili trattamenti di prevenzione? Questo sito si è già occupato in passato della vitamina D, e ritenete opportuno aggiungere una quantità controllata di Vit. D alla dieta in FC al fine di non rimanere sotto le dosi giornaliere minime in attesa che alcuni trials stabiliscano un corretto dosaggio? Ovviamente, per chi legge occorre ricordare che l’unità di misura per il dosaggio della Vit. D è in microgrammi, impossibile e pericoloso in un fai da te. Trascrivo il testo dell’articolo.

<< La vitamina D è cruciale per l’attivazione del nostro sistema immunitario: senza di essa, le cellule T non sono in grado di reagire e combattere le infezioni più gravi che minacciano l’organismo. E’ quanto hanno scoperto alcuni ricercatori dell’Università di Copenhagen, in Danimarca. La maggior parte della vitamina D è prodotta naturalmente dall’esposizione della pelle al sole. È contenuta anche nell’olio di pesce, nelle uova di pesci grassi come salmone, aringhe e sgombro, o può essere assunta consumando integratori dietetici. Non esistono studi definitivi per stabilire il dosaggio ottimale di vitamina D, anche se le attuali linee guida raccomandano di assumere una dose giornaliera compresa tra 25 e 50 microgrammi al giorno. Si stima inoltre che gran parte della popolazione abbia una bassa concentrazione sanguigna di questo importante elemento. Secondo il modello immunologico attuale, per poter proteggere il corpo dalla minaccia di virus e batteri le cellule T del sistema immunitario devono in primo luogo essere esposte a tracce dell’agente patogeno. Ciò avviene quando queste vengono “presentate” da altre cellule immunitarie dell’organismo, i macrofagi. Le cellule T si possono cosi legare al frammento e dividersi continuamente dando luogo a centinaia di copie identiche, tutte specializzate nel riconoscere e nel distruggere lo stesso agente esterno. “Quando una cellula T è esposta a un agente patogeno, espone un dispositivo di segnalazione noto come recettore per la vitamina D: ciò significa che la cellula T deve avere a disposizione la vitamina D, o l’attivazione cesserà. Se le cellule T non riescono a trovare sufficiente vitamina D nel sangue, non inizieranno mai ad attivarsi.” Nel corso della ricerca, i cui risultati sono apparsi sull’ultimo numero della rivista Nature Immunology, i ricercatori sono riusciti anche a tracciare la sequenza biochimica di trasformazione di una cellula T da inattiva ad attiva: ciò apre la strada alla possibilità di intervenire in diversi punti di tale cammino per modulare la risposta immunitaria. L’elemento cruciale scoperto in questo caso è che le cellule T inattive, o “naïve”, non contengono né un recettore per la vitamina D né una specifica molecola (la PLC-gamma1) che la renderebbe in grado di dare una risposta antigenica specifica. I risultati, secondo i ricercatori, potrebbero rivelarsi preziosi in tutti gli studi che riguardano il sistema immunitario, dalla messa a punto di nuovi vaccini o di nuovi immunosoppressori per i trapiantati fino alla lotta alle malattie infettive e alle epidemie globali. (fc) >>

Risposta

La ricerca segnalata dal nostro interlocutore, comparsa nell’aprile scorso su Nature Immunology (1), è sicuramente di grande interesse perché chiama in causa il ruolo della vitamina D nel regolare i processi immunitari e quindi la difesa contro le infezioni e la modulazione dell’infiammazione. Il ruolo anti-infiammatorio della vitamina D è già stato documentato in realtà in diverse malattie, come la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, il diabete mellito, il lupus eritematodes , la psoriasi e il cancro della prostata. Nella fibrosi cistica gli studi sulla vitamina D si sono finora concentrati soprattutto sul ruolo di questa vitamina nel prevenire e nel curare l’osteoporosi, anche se il tema dell’infiammazione in questa malattia è cruciale alla sua evoluzione. Solo recentemente è stato dimostrato che l’aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA), tipica complicanza infiammatoria polmonare nella FC, legata ad una speciale ipersensibilità al fungo Aspergillus fumigatus , è correlata con bassi livelli di vitamina D nel sangue dei pazienti (2). In questo studio si è anche visto, con esperimenti in vitro, che l’aggiunta di vitamina D alle cellule T oggetto di studio riduce la risposta infiammatoria all’Aspergillus fumigatus, tanto da raccomandare trial clinici con vitamina D per prevenire l’ABPA nei pazienti FC. Nella fibrosi cistica è abitualmente raccomandata una supplementazione con vit. D. Infatti, in questa malattia vi è abituale carenza di vitamina D, dimostrata dai bassi o bassissimi livelli nel siero di 25-idrossivitamina D (25-OHD), che è la forma attiva della vitamina D nell’organismo. Si ritiene che i livelli utili di 25-OHD nel siero dovrebbero essere compresi tra 30 e 60 nanogrammi (ng)per ml. Un’ottima rassegna della letteratura su questo problema è stata pubblicata lo scorso anno (3). Le cause della carenza vitaminica in FC sono molteplici. In primis, lo scarso assorbimento intestinale della vit. D che assumiamo con i cibi, a causa dell’insufficienza pancreatica: la vit.D infatti è una vitamina liposolubile (come E, A e K) e in assenza o quasi di digestione dei grassi non può essere assorbita. Ma anche pazienti FC senza insufficienza pancreatica e pazienti regolarmente trattati con enzimi pancreatici non raggiungono in genere livelli sierici sufficienti di 25-OHD. Si chiamano in causa altri fattori: lo scarso contenuto di grasso dell’organismo dei malati (soprattutto quello sottocutaneo), abituale deposito di riserva della vit. D, il ridotto legame della vitamina alla specifica proteina che lo lega e lo trasporta ai siti di utilizzo, la ridotta idrossilazione della vitamina, necessaria per trasformarla nella sua forma attiva 25-OHD, ma anche la probabile scarsa esposizione alla luce solare. A proposito di quest’ultimo fattore, ricordiamo che in condizioni normali l’esposizione alla luce solare rappresenta la condizione che assicura il 90% del fabbisogno di vit. D dell’organismo: infatti l’energia solare nella sua componente ultravioletta favorisce la sintesi naturale della vitamina, che nella bella stagione si accumula come riserva nel tessuto grasso per essere poi disponibile nelle stagioni fredde. E’ possibile che, per varie ragioni, il malato FC si esponga poco alla luce solare. Il deficit di vit. D provoca secondariamente un eccesso di produzione di ormone paratiroideo nelle ghiandole paratiroidi, con conseguente mobilizzazione dei minerali dello scheletro e impoverimento della matrice ossea (osteomalacia e osteoporosi). E’ vero che non abbiamo ancora sicuri criteri sul dosaggio di vitamina D da assumere per raggiungere nel siero livelli sufficienti di 25-OHD. Sulla base delle informazioni ricavate dagli studi finora condotti, un gruppo di ricercatori di Chapel Hill dell’Università di North Carlina (3) ha recentemente suggerito un interessante algoritmo per trattare la carenza di vitamina D nei pazienti FC, che di seguito riassumiamo. Controllare annualmente il livello sierico di 25-OHD. Se risulta superiore a 30 ng/ml continuare la supplementazione standard abituale (in genere 800 UI per giorno). Se è inferiore a 30 ng/ml si somministri una dose media di 12.000 UI una volta per settimana nei soggetti di età inferiore a 5 anni e di 50.000 UI per settimana nei pazienti oltre i 5 anni, per 12 settimane. Ricontrollare i livelli di 25-OHD e, se maggiori di 30 ng/ml , continuare con la dose media aggiustandola per mantenere 25-OHD sotto gli 80 ng/ml, livello di sicurezza per evitare eventuali tossicità della vitamina. Se al ri-controllo i livelli di 25-OHD sono inferiori a 30 ng/ml si passi alla dose alta, con 12.000 UI sotto i 5 anni e 50.000 UI sopra i 5 anni 2 volte la settimana. Nuovo controllo: se 25-OHD maggiore di 30 ng/ml continuare con dose alta aggiustandola per mantenere i livelli di sicurezza (sotto 80 ng/ml); se inferiore a 30 ng, considerare l’intervento controllato con fototerapia (raggi UV di particolare lunghezza d’onda). E’ preferibile somministrare vitamina D3 (colicalciferolo, di origine animale) rispetto alla vitamina D2 (ergo calciferolo, di origine vegetale): infatti , un recente studio ha dimostrato la più elevata efficacia di vit. D3 (4). Questo protocollo, che appare peraltro ragionevole, non è ancora entrato nelle linee guida ufficiali e merita certamente di essere verificato e validato con adeguati studi clinici.

1. Von Essen MR, et al. Vitamin D controls T cell antigen receptor signaling and activation of human T cells. Nat Immunol. 2010;11:344-9.

2. Kreindler JL, et al. Vitamin D3 attenuates Th2 responses to Aspergillus fumigatus by CD4+ T cells from cystic fibrosis patients with allergic bronchopulmonary aspergillosis. J Clin Invest.2010;120:3242-3254.

3. Hall WB,et al. Vitamin D deficiency in cystic fibrosis. Int J Endocrinol. 2010; Article ID 218691. Epub 2010 Jan 28.

4. Khazai NB, et al. Treatment and prevention of vitamin D insufficiency in cystic fibrosis patients: comparative efficacy of ergocalciferol, cholecalciferol, and UV light.

G. M.


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