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15 Aprile 2008

L’allenamento dei muscoli respiratori con uno speciale strumento sembra migliorare la funzione respiratoria in malati FC.

G. M.

Ha avuto recentemente molto eco uno studio, condotto presso l’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, dove è attivo un centro per la fibrosi cistica, con l’impiego di uno speciale strumento appositamente disegnato per esercitare i muscoli respiratori. Lo strumento in questione si chiama “Spiro Tiger” ed è stato impiegato negli atleti con l’intento di allenarne i muscoli del respiro e migliorarne la funzione respiratoria. Nelle persone FC i muscoli respiratori possono avere una ridotta forza, certamente sono piuttosto rigidi e poco elastici e con il tempo possono ridurre la loro massa, contribuendo così a compromettere la funzione respiratoria, peraltro primariamente ridotta a causa della situazione ostruttiva delle vie aeree. Si è pensato di ricorrere a questo strumento con l’intento sia di migliorare i parametri di funzione respiratoria sia di incrementare la detersione dei bronchi dalle abbondanti secrezioni. Si tratta di uno studio pilota su 24 pazienti oltre i 9 anni di età, attuato con un lungo periodo di trattamento (1 anno), dal quale gli autori ricavano la convinzione di aver contribuito a migliorare la funzione respiratoria dei pazienti ed a ridurre il ricorso ad antibiotici per il trattamento di esacerbazioni respiratorie rispetto all’anno che ha preceduto il trattamento.

Il principio su cui si basa lo strumento, attraverso il quale il soggetto respira tramite un boccaglio, è un sistema di facilitazione alla iperventilazione: il paziente cioè deve compiere ampie escursioni respiratorie a frequenza elevata, con ampia inspirazione e ampia espirazione e frequenza dell’ordine di 26-30 atti respiratori/minuto. Lo strumento consente di adattare l’entità della ventilazione alle caratteristiche individuali del soggetto, guidandolo alla corretta applicazione dell’esercizio con un sistema di monitoraggio automatico continuo della sua prestazione. Per evitare la dannosa condizione di “ipocapnia” (bassa pressione di anidride carbonica nel sangue, che si ha quando si attua una iperventilazione volontaria in aria ambiente) vi è una sacca ed una valvola che permette di ri-respirare parte dell’aria espirata, mantenendo così il livello di anidride carbonica nel sangue entro un limite fisiologicamente accettabile. Tutti i parametri di funzionamento dello strumento e lo stesso volume del sacco di ri-respirazione sono adattati alle caratteristiche funzionali del singolo soggetto. I pazienti sono stati accuratamente e gradualmente educati ed istruiti all’uso dello strumento. Una volta a regime, il trattamento veniva applicato con una seduta quotidiana di quasi mezz’ora (ma questo è un dato che non si coglie bene nella pubblicazione) per almeno 4 giorni la settimana per un intero anno. Ogni 3-4 mesi si rilevavano i parametri di funzione respiratoria ed altre informazioni cliniche. Valutazioni soggettive sul trattamento venivano chieste al paziente con apposito questionario.

Rispetto all’anno che ha preceduto il trattamento, in cui tutti i soggetti impiegavano per la fisioterapia lo strumento HiPEP mask, la FEV1 è passata da una media di 75,9 ad una di 81,3%, peraltro con una grande dispersione di valori. Esaminando i grafici presentati nella pubblicazione, si vedono oscillare di molto i valori di FEV1 nel tempo ed è difficile dire quanti pazienti abbiano avuto effettivo beneficio. Dei 24 pazienti solo 15 hanno mostrato buona aderenza al trattamento (dati rilevati automaticamente dallo strumento) e ben 9 hanno mostrato scarsa o nulla aderenza. Benché non elaborati separatamente i dati per i due gruppi, si ha l’impressione dai grafici che non vi siano sostanziali differenze tra i due gruppi. Va rilevato che i pazienti arruolati hanno in prevalenza valori di FEV1 di partenza buoni o molto buoni, specialmente tra coloro che hanno avuto buona aderenza al trattamento.

Nel periodo di trattamento i pazienti hanno avuto meno bisogno di cicli endovenosi di antibiotico (in media 1 contro 1,8). I pazienti hanno dichiarato di aver avuto durante il trattamento una percezione di migliore forma fisica. Essi esprimono anche opinioni soggettive di riduzione della tosse, di incremento nel drenaggio del muco bronchiale e di riduzione della dispnea, rispetto al precedente periodo in cui la fisioterapia respiratoria si basava sull’uso della maschera a pressione espiratoria positiva (PEP mask).

Questo studio è certamente interessante ma presenta i limiti di uno studio pilota, che non stratifica i pazienti in base alle condizioni cliniche, alla funzione respiratoria, all’età, che non ha un gruppo di controllo, etc. Il paziente controllo di sé stesso per una pratica terapeutica così poco oggettivabile nella sua applicazione e nei suoi effetti come la fisioterapia lascia ampio margine agli errori di valutazione. Questo è uno studio prospettico ma gli autori non dicono se nell’anno che ha preceduto il trattamento i pazienti hanno avuto un piano di osservazione prospettica, con lo stesso impegno e rigore con cui sono stati seguiti nell’anno di trattamento e se l’uso della PEP mask per la fisioterapia ha avuto la stessa assistenza che quello dello Spiro Tiger. Difficile anche valutare l’entità di ricorso all’antibiotico endovena: in un sistema di studio in aperto e senza controllo, il rischio di influire arbitrariamente sulle scelte terapeutiche è alto nel corso di un trattamento che ha anche come obiettivo quello di ridurre il numero di esacerbazioni e l’uso di antibiotici. Le valutazioni soggettive dei pazienti sull’efficacia del trattamento, tramite questionario, sono notoriamente problematiche e poco decisive sull’efficacia del trattamento: al massimo lo sono sul piano del gradimento. Ci si chiede perché alcuni eventi non sono stati valutati oggettivamente, come ad esempio la quantità di muco bronchiale liberato prima e dopo il trattamento in questione.

Ma, al di là di questi aspetti metodologici, sempre difficili da mettere a punto per uno studio clinico basato sulla fisioterapia/riabilitazione, c’è un motivo critico di fondo che merita discutere. Non va infatti dimenticato che l’iperventilazione attuata con questo strumento può essere realizzata benissimo con esercizio fisico ben dosato e motivante, come quello che si compie all’aria aperta, anche con qualche moderata attività sportiva, e con tempi anche più lunghi dei 30 minuti al giorno dello Spiro Tiger. Gli autori dello studio insistono sul fatto che la comune attività fisica (cammino, jogging, ginnastica, sport), molto raccomandata peraltro per le persone con FC, può essere limitata dalla capacità di resistenza dei muscoli degli arti inferiori: questo può essere vero, ma un ragionevole allenamento si sa che può superare anche questo limite.

Inoltre, non si può ignorare che l’attività fisica, anche in un malato FC, induce benefici complessivi sul metabolismo energetico ed è una modalità per entrare in contatto dinamico con la natura e con gli altri: può essere dannoso lasciar passare il messaggio che usare questo strumento può sostituire l’attività fisica.

Il mito delle macchine per l’allenamento è diventato oggi di gran moda: invece di raccomandare le camminate, le corse in bicicletta, gli sport che più piacciono e all’aria aperta, il mercato propone con ritmo crescente le palestre chiuse con macchine per camminare, per correre, per biciclettare, per salire le scale etc. Ora le macchine per rinforzare il respiro: sostituiranno realmente l’educazione ad usare completamente, armonicamente e liberamente il proprio corpo, che non è fatto solo di muscoli respiratori? Anche per queste ragioni è difficile dire se i risultati di questo studio pilota (che ha comportato tra l’altro un alto tasso di non aderenza al trattamento) debbano incoraggiare successivi studi controllati e metodologicamente robusti su largo numero di pazienti.

1. Sartori R, et al. Respiratory training with a specific device in cystic fibrosis: a prospective study. J Cystic Fibrosis. 2008;doi:10.1016/i.jef.2007.12.003

15 aprile 2008