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Una squadretta che non ce n’è!

Una storia d'amore

«Giulia mi ha dato la bozza della sua intervista, l’ho letta e ho pensato fosse un po’ harmony» e così Paolo, il marito, ha deciso di raccontare la sua versione della storia. «È vero che lei si è appoggiata molto a me, ma non deve passare in secondo piano che è fortissima: è proprio una iena.

Quando ci siamo conosciuti faceva fatica ad accettare la malattia, si faceva mille problemi in prospettiva. Insieme abbiamo iniziato a capire che bisogna imparare a godersi i momenti, pensare adesso: oggi è così, domani vediamo», dice Paolo con l’energia nella voce. «Prima di incontrare Giulia non avevo mai sentito nominare la fibrosi cistica. Avevo 23-24 anni. Nessuno in famiglia sapeva cosa fosse. Scoprirlo è stato uno shock – ricorda. Apparentemente, quando ci siamo conosciuti, non c’era diversità tra lei e una persona sana. Mi sembrava assurdo che una come lei avesse una malattia del genere – ammette. Ci siamo incontrati in un locale di Genova, eravamo amici di amici, poi è andato tutto molto velocemente. Dopo un anno avevo capito di volerla sposare, perché ci volevo stare insieme 24 ore su 24, tutti i giorni; qualsiasi cosa facessi al di fuori della coppia non vedevo l’ora di raccontargliela e sapevo che non ci sarebbe potuta essere nessun’altra a parte lei».

Qualcuno ha sollevato perplessità? «Nessuno, tra i miei familiari, si sarebbe mai permesso di opporsi alla nostra relazione. Sia la mia sia la sua sono famiglie bellissime. Mi aiutano tanto. Se con lei sono sempre positivo è perché ho sostegni importanti anche tra gli amici, non solo in famiglia, e ho piena fiducia nei suoi medici, persone fantastiche. Bisogna essere forti per stare al fianco di una persona con una malattia cronica degenerativa come la fibrosi cistica. Ci si sente impotenti. È difficile – riflette Paolo. Lei è una grandissima: sa stare con le persone, è simpatica, abbiamo lo stesso senso dell’umorismo. C’è molta empatia su qualsiasi cosa tra noi. Siamo cinici e ci insultiamo pesantemente. Scherziamo tanto anche sulla malattia e sdrammatizziamo. Con tutti i pensieri che ha, ancora ci sediamo sul divano a ridere insieme, come non ci fosse nessun problema. La viviamo così. Ce ne facciamo una ragione e andiamo avanti. È il nostro modo di pensare. Quando una cosa non si può più fare ci diciamo: faremo dell’altro», conclude.

C’è una forma di adattamento alle situazioni. «Oramai penso anch’io come lei – annuisce Paolo. Magari prima faceva un’ora di tapis roulant e adesso fa una rampa di scale e rimane senza fiato, ma per me lei sta sempre benissimo. Da quando siamo in attesa del trapianto la malattia ci limita, prima no. Fino all’anno scorso giravamo e non sentivo il peso della fibrosi cistica, forse perché stiamo così bene insieme. Ora siamo vincolati, ma ce lo diciamo spesso: un passo alla volta. Viviamo e pensiamo a oggi. Poi domani vediamo.

Giulia si è sempre ritenuta normale – prosegue Paolo. Fa e ha sempre fatto quello che facevano gli altri. È una persona forte: si è conquistata qualsiasi cosa abbia fatto nella vita, senza fare mancare niente a me, alla coppia e alle nostre bambine. Vivendo con lei ti rendi conto delle cose che contano davvero. I problemi reali non sono i litigi giornalieri. Mi mette gioia di vivere e non smette di insegnarmi ad affrontare le difficoltà sorridendo – racconta Paolo. È chiaro che l’ansia della visita te la porti sempre appresso. I giorni prima ci pensi. Hai il timore di finire ricoverato. Il mio compito è quello di tirare su il morale, essere il bastone di sostegno. Il turbinio di emozioni che viviamo è più ampio della media. O sei molto unito o non vai avanti. È impossibile affrontare tutto altrimenti. I momenti bui, quelli duri, ci sono. Prima e dopo avere avuto le bambine è stato tosto. Anche l’entrata in lista per il trapianto. Quei giorni lì, vorresti essere al suo posto» dice Paolo, poi pensa alle gemelle. «Le bambine sono eccezionali. Abbiamo lottato per averle. Quando sono nate e il giorno in cui le abbiamo portate a casa, li ricordo tra i momenti più belli in assoluto. Pesavano 1,3 kg. Col senno di poi è stato un azzardo averle. Siamo stati davvero degli incoscienti dall’inizio alla fine, lei soprattutto, ma in questo la giovinezza aiuta. Abbiamo rischiato molto, senza mai superare il limite, e ci è andata bene. Alice è più simile a Giulia: molto inquadrata, intelligentissima, non ha una via di mezzo, o è bianco o è nero. Lisa assomiglia a me: una pagliaccetta. Ti vende, ti compra, fa quello che vuole. È solare e simpaticissima. Nei nostri confronti sono un fronte unito, tra loro bisticciano, da brave sorelle. Io le vedo due ore al giorno e le vizio. Giulia si arrabbia perché le tocca fare la cattiva, ma è bravissima. Giochiamo tanto insieme e quando parliamo della malattia spesso siamo presenti entrambi, perché sono molto attente e non ti devi contraddire. Nella quotidianità ognuno ha il proprio compito. In casa sembriamo degli operai: ognuno al suo posto. Siamo una squadretta che non ce n’è!

Giulia vuole vivere una vita normale. Non accontentarsi mai. Anche ora. Ha capito che il fatto di essere in lista di trapianto non è una sconfitta, ma una cosa da fare, la sua possibilità di rinascita. E io devo aiutarla ad arrivarci meglio possibile. Non andiamo mai a dormire arrabbiati. Non vogliamo avere rimpianti. Magari il giorno dopo la chiamano a Milano e non le ho detto quanto la amo».

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