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7 Luglio 2021

Alcune riflessioni su quando la malattia peggiora

Autore: G
Argomenti: Aspettativa di vita
Domanda

Dall’inizio della fase terminale della malattia, quanto tempo resta da vivere a un malato di fibrosi cistica, in età adulta? Grazie

Risposta

Non sono in grado di dare una precisa risposta al quesito sollevato dal nostro interlocutore. Ma mi sento di rispondere cercando di mettere a fuoco i tanti aspetti che riguardano la cosiddetta fase terminale o meglio il fine vita.

Il termine “fase terminale” è fuorviante perché lascerebbe intendere che di questa fase c’è un inizio e una fine, che corrisponde al decesso.

In realtà, come vedremo anche oltre, l’operatore sanitario non è in grado di precisare per un’altra persona malata quando avverrà il fine vita. 

È però importante pensarci e rivolgere tutti i propri interrogativi all’operatore sanitario, che deve essere a disposizione per dare delle risposte. Come si può ben comprendere, tra sanitario e persona con malattia cronica deve instaurarsi un reciproco ascolto e un dialogo che non può esaurirsi in un solo momento ma deve protrarsi nel tempo per consentire l’approfondimento e anche il ripensamento. 

L’articolazione del dialogo è ovviamente diversa se il nostro interlocutore, invece di essere una persona con fibrosi cistica (FC), è un parente o un amico. È giusto discutere del fine vita anche con queste persone ma non possiamo ignorare che al centro dell’attenzione dei sanitari c’è la persona malata. 

Il nostro caldo suggerimento è di rivolgere tutti i quesiti a un operatore del team di cura del Centro FC, alla persona con la quale viene più facile interloquire, dialogare.
Possiamo tuttavia provare a definire alcuni aspetti del problema sollevato.

Con l’avvento del trapianto polmonare i sanitari hanno cercato di precisare un aspetto più definibile della cosiddetta fase terminale, cioè la fase end stage (stadio finale) di un organo. Nel caso di una malattia come la fibrosi cistica, caratterizzata da un interessamento polmonare cronico e progressivo, la fase end stage dei polmoni è quando questi sono così deteriorati nella struttura e nella funzione che vi è un alto rischio (probabilità maggiore del 50%) di morte entro 2 anni. Occorre sottolineare che si tratta di una probabilità, cioè della possibilità (seppur alta) che l’evento morte si verifichi in presenza di uno o più indicatori in un gruppo più o meno ampio di persone con la malattia. “È molto probabile che questo evento avvenga entro un definito periodo ma non sono in grado di precisare nel tuo caso quando ciò avverrà…”.

Per definire la fase end stage non basta un solo criterio clinico ma un insieme di criteri clinici quali valori bassi della spirometria e soprattutto un suo declino accentuato, scarsa ossigenazione e/o aumento dell’anidride carbonica nel sangue, necessità di frequente terapia antibiotica e di frequenti ricoveri in ospedale, scarsa efficacia della terapia (specie antinfettiva), riduzione della prestazione fisica con limitazione all’attività lavorativa, alle relazioni sociali, alla cura di sé, … Sono i “curanti”, coloro che conoscono l’evoluzione della malattia nel singolo individuo, a poter identificare e dare valore a questi dati clinici per definire la fase end stage

Nel contesto del trapianto polmonare la fase end stage corrisponde al momento dell’inserimento in lista d’attesa per il trapianto e viene sempre più differenziata da quella precedente di advanced lung disease (malattia polmonare avanzata), in cui si deve prospettare alla persona FC la possibilità di potersi avvalere del trapianto polmonare. Ne segue una più o meno lunga fase di presa d’atto della situazione, di comprensione delle possibilità terapeutiche e della realtà del trapianto polmonare con i suoi pro e contro. 

Ci si può accordare per la presentazione della situazione clinica al Centro Trapianti, che ha la responsabilità delle decisioni definitive. Il contatto non tardivo con il Centro Trapianti può consentire: i) una valutazione tempestiva e più accurata delle condizioni cliniche; ii) di discutere nuovamente sulla scelta del trapianto con maggiori dettagli e facendo riferimento all’esperienza del Centro Trapianti; iii) un tempo adatto per arrivare a un consenso informato; iv) di ottimizzare la terapia per poter affrontare l’intervento chirurgico nel migliore modo possibile. 

La prospettiva del trapianto ha modificato favorevolmente la prassi nei Centri FC, in modo da non arrivare “tardi” a prendere atto del probabile fine vita. 

Occorre infatti poter mettere le persone con FC in grado di decidere: i) quali terapie sono in grado di accettare (il trapianto? L’intubazione tracheale nel reparto di Cure Intensive?); ii) se è utile l’intervento di uno specialista e una terapia per l’ansia o la depressione; iii) se è utile l’intervento di uno specialista e una terapia per dare sollievo ai sintomi (terapia palliativa); iv) quale terapia continuare e se le ultime fasi di vita si vogliono vivere in ospedale o a casa e con chi: v) cosa deve succedere dopo il decesso (3, 4). 

Il termine anglosassone che definisce questo complesso processo decisionale è advance care planning (pianificazione anticipata delle cure). La terapia palliativa, cioè l’insieme di farmaci e provvedimenti di cura che si mettono in atto per dare sollievo ai sintomi, è un momento importante di questa pianificazione. Il dolore o la fame d’aria o l’ansia possono essere particolarmente disturbanti e occorre prevedere dei presidi e delle modalità di intervento per contenerli e alleviarli.

Da poco in Italia è stata approvata la legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizione anticipate di trattamento” (Legge n. 219 del 22.12.2017) (5).
Molto importanti sono l’articolo 4 sulle disposizioni anticipate di trattamento e, soprattutto, l’articolo 5 sulla pianificazione condivisa delle cure. In sostanza la legge dispone che i cittadini e gli operatori sanitari pianifichino in modo condiviso le cure disponibili e necessarie nella fase di fine vita, quando questa “è prevedibile nel contesto di una malattia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta”.
La persona malata può anche scegliere una persona di fiducia (“fiduciario”), che garantisca il rispetto delle sue scelte nel caso non sia in grado, in qualche fase della malattia, di prendere decisioni.  

Al di fuori della realtà della fase end stage dei polmoni, e perciò al di fuori del trapianto polmonare, rimane ancor più difficile prevedere un fine vita e quanto rimane da vivere.
È responsabilità degli operatori sanitari ragionare sempre in senso prognostico e soprattutto presentare alla persona con una malattia cronica gli scenari possibili in caso di una complicanza grave o di un aggravamento della malattia e condividere con la persona malata non solo le scelte terapeutiche possibili, ma anche le problematiche psicologiche, sociali e spirituali.
Gli operatori sanitari non sono in grado di prevedere quanto lungo è il “tempo di vita” che rimane nel singolo individuo ma possono fare tante cose utili e importanti, come quelle che abbiamo cercato di elencare, con il significato che il farsi carico e il curare devono continuare per ogni attimo di vita che rimane, rispettando le volontà e i desideri della persona. 

Dott. Cesare Braggion, Direzione Scientifica FFC


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