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8 Aprile 2019

Problemi posti da un test genetico in una coppia che si prepara a una procreazione medicalmente assistita (PMA)

Autore: Gisella
Domanda

Salve, vi scrivo per avere ulteriori chiarimenti. Dopo 7 anni di matrimonio e nessun figlio, io (35anni) e mio marito (42) ci siamo rivolti a una clinica privata per una PMA. Prima tappa: analisi genetica. Riporto di seguito i risultati. Io: “La diagnosi molecolare eseguita sul DNA estratto dal sangue periferico non ha evidenziato alcuna delle mutazioni analizzate. Il polimorfismo Tn è risultato 7T in omozigosi (genotipo non associato a patologia). Mio marito: “L’analisi molecolare del gene CFTR ha rilevato, in eterozigosi, la presenza della mutazione c.1521_1523delCTT (F508del). Pertanto il paziente in esame risulta portatore di fibrosi cistica con il precedente genotipo. Il polimorfismo Tn è risultato 7T/9T in eterozigosi (genotipo non associato a patologia)”. Abbiamo fatto consulenza genetica che ci ha tranquillizzato sul basso rischio in un’eventuale gravidanza, ma solo dopo 3 giorni ci hanno richiamato per fare un indagine di 2° livello per togliere tutti i dubbi. Ora mi chiedo: se il rischio era basso perché richiedere queste costosissime analisi? Che cosa ne pensate? È giusto farle? Grazie mille.

Risposta

Non sappiamo quante mutazioni siano state analizzate con il test genetico di primo livello, informazione importante per capire l’opportunità di un test di secondo livello, che non sappiamo se consigliato per entrambi o solo nel marito. Soprattutto non sappiamo se il test genetico per fibrosi cistica sia stato fatto a scopo diagnostico sulle cause dell’infertilità o a scopo di screening del portatore di fibrosi cistica.

ll “Documento di consenso della Società Italiana di Genetica Umana sull’uso dei test genetici nel percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA)” distingue bene le due situazioni (1). Riportiamo dal commento a quel documento questo passaggio: “I test genetici a scopo diagnostico sono finalizzati alla identificazione di una possibile causa genetica della condizione e riguardano prevalentemente i casi di infertilità maschile; nei casi di infertilità femminile esistono un minor numero di test specifici disponibili. Poiché la prima indagine che si esegue nel maschio è l’analisi del liquido seminale, i test genetici applicabili sono distinti a seconda del tipo di anomalia che il liquido seminale presenta. Se c’è una condizione di scarsità o assenza di spermatozoi su base non ostruttiva, cioè con normalità dei dotti deferenti, va eseguita un’analisi del cariotipo (il cariotipo è l’insieme dei cromosomi), perché la causa più frequente dell’infertilità maschile è rappresentata da anomalie che riguardano il cromosoma maschile Y. Se invece l’azoospermia è di tipo ostruttivo e l’ostruzione è dovuta ad agenesia bilaterale dei dotti deferenti (CBAVD), va eseguita l’analisi del gene CFTR (test di primo livello), poiché questa condizione può rappresentare una forma benigna di fibrosi cistica. Vi è necessità di un approfondimento del risultato del test genetico di primo livello nel caso in cui il soggetto risulti portatore di una mutazione del gene CFTR, dal momento che bisogna attendersi una seconda mutazione più rara o una variante del gene con significato patogeno”.

In sostanza l’indicazione a un test genetico di secondo livello è corretta nel soggetto in cui è stata trovata una mutazione CFTR, ma è presente un tipo di infertilità che è correlata alla fibrosi cistica. Sospettiamo invece che nessun ragionamento clinico sia stato fatto e che il test genetico sia stato fatto a scopo di screening del portatore, per identificare il rischio per la coppia di avere figli (attraverso PMA) affetti da fibrosi cistica. Alla coppia allora il genetista, in base al risultato del test fatto in entrambi, deve aver comunicato la stima di questo rischio. Viene riportato come un rischio basso (quanto basso? basso rispetto a che cosa?). Il modo corretto di procedere è quello di comunicare che questo rischio si può abbassare ancora eseguendo un test di secondo livello nella persona risultata non portatrice, per la ricerca di mutazioni eventualmente sfuggite a un test di primo livello. Ma la decisione di procedere con un test di secondo livello spetta alla coppia che ha avuto informazioni precise sull’entità del rischio riproduttivo, stimato in base al risultato del test di primo livello; che le ha capite e valutate; che è stata informata su vantaggi/svantaggi di eseguire un test di secondo livello.

1) Test genetici nel percorso della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), 16/02/2017

G. Borgo


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