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5 Giugno 2006

Screening neonatale CF: in alcune regioni non si fa l’analisi del DNA prima dell’avviso alle famiglie

Autore: Paolo
Argomenti: Screening neonatale
Domanda

Ho già posto la domanda sulla metodica dei programmi di screening, e mi avete risposto che ormai nessuno più si limita all’IRT, associandosi quello sul DNA e, in Veneto e Toscana, sul meconio (prima del test del sudore). Come mai a Roma, Policlinico Umberto I, il programma, almeno quello riferito, consiste in un doppio test sui valori di tripsina e (in caso di persistenza di livelli considerati elevati) solo quale terzo step il test del sudore, avvisando le famiglie già dopo il primo esame di IRT?

Risposta

In realtà, nella nostra risposta sui programmi di screening CF del 29.05.06 I tempi lunghi dello screening neonatale CF e l’ansia dei genitori abbiamo scritto che l’impiego dell’analisi del DNA come secondo passo, dopo l’iniziale esame IRT (tripsina immuno-reattiva) e prima di avvisare le famiglie, viene attuato oggi nella maggior parte dei programmi di screening. Tuttavia, sappiamo bene che in alcune regioni questo passaggio non viene ancora fatto e ciò comporta il richiamo dei neonati risultati positivi al primo esame IRT per un secondo esame IRT, prima di passare al definitivo test del sudore (che si fa solo nei bambini che risultano positivi anche al secondo esame). Sappiamo che questa prassi comporta il richiamo di un grande numero di bambini che poi non risultano affetti da fibrosi cistica (falsi positivi). L’analisi del DNA invece consente di depistare buona parte dei falsi positivi IRT, in quanto solo quelli che presentano almeno una mutazione CF (o al massimo quelli con nessuna mutazione CF ma con IRT molto elevata) proseguiranno l’iter diagnostico con allarme alle famiglie.

Le ragioni per cui in qualche regione non si fa ancora l’analisi di DNA sulla stessa goccia di sangue sulla quale si era fatta l’analisi IRT, dipende da fattori organizzativi ed economici: l’analisi del DNA certamente comporta costi aggiuntivi, ma comunque sostenibili. Riteniamo che questa limitazione debba essere corretta al più presto anche in quelle regioni, perché l’introduzione dell’analisi del DNA come secondo passo consente da un lato una più elevata capacità del test di screening ad identificare soggetti affetti e dall’altro limita notevolmente inutili ansie alle famiglie di neonati falsi positivi allo screening.

G. M.


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