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12 Novembre 2020

Dalla Conferenza Nordamericana l’impulso verso nuovi obiettivi di ricerca

Dott. Nicoletta Pedemonte, Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto G. Gaslini, Genova

Per curare tutte le mutazioni, accanto ai nuovi farmaci diretti alla proteina difettosa, la sfida dell’uso di cellule staminali e di interventi sul gene mutato.

Fra il 21 e il 23 di ottobre si è svolta la 34ª Conferenza Nordamericana sulla fibrosi cistica. La Conferenza avrebbe dovuto tenersi a Phoenix, in Arizona, ma, in tempi di pandemia, è stata convertita in conferenza digitale. Alla Conferenza hanno partecipato circa 5.000 persone. Il formato digitale ha purtroppo impedito le interazioni personali con i colleghi, che sono uno degli aspetti positivi dei congressi. È, infatti, tramite il confronto con i nostri “pari”, e lo scambio di opinioni, che riusciamo a formulare nuove ipotesi di lavoro, o trovare il modo migliore per verificare o confutare quanto supposto.

Nonostante questo, la mia opinione personale è che, dal punto di vista scientifico, si sia trattata di una delle migliori conferenze a cui abbia partecipato negli ultimi anni. Il tema conduttore principale è stata l’iniziativa “Path to a Cure” (che si può tradurre come percorso verso una cura, inteso come cura per tutti gli individui con fibrosi cistica). Si tratta di un’iniziativa molto ambiziosa volta ad accelerare lo sviluppo di nuove soluzioni per correggere il difetto alla base della malattia, portando a una vera e propria cura per la fibrosi cistica. Quando si è incominciato a parlare di possibili farmaci correttori del difetto di maturazione causato dalla mutazione F508del (quasi vent’anni fa) c’era molto scetticismo: sembrava un’utopia riuscire a identificare tali composti. Ora sono la realtà per molti pazienti, ma purtroppo non per tutti. Una discreta percentuale d’individui con FC è ancora priva di terapie mirate a correggere il difetto di base. Per porre rimedio a ciò, il nuovo ambizioso obiettivo è riuscire a sviluppare una terapia genica (con la quale sostituire il gene difettoso all’interno delle cellule mature presenti nel polmone del malato), oppure terapie basate sul “gene editing” (cioè la correzione- o editing– della sequenza errata nel gene sempre in queste cellule), o infine terapie basate su cellule staminali derivate dagli stessi pazienti, corrette geneticamente con tecniche di editing e destinate a rimpiazzare le cellule del polmone malato.

Nella prima sessione plenaria, Brian Davis, dell’Università del Texas Health Science Center a Houston, ha illustrato l’importanza di comprendere l’architettura e la biologia dei tessuti epiteliali (ad esempio i polmoni) che devono essere trattati. Successivamente, Maria Limberis, dell’Università della Pennsylvania, ha descritto le complesse proprietà fisiche dei polmoni che rendono la superficie delle vie aeree un’efficace barriera contro i patogeni virali e batterici, ma che rendono anche più difficile l’ingresso, nelle cellule epiteliali bronchiali, dei fattori che servono per una terapia genica. Nel simposio 23 è stato fatto il punto della situazione della ricerca focalizzata al ripristino dell’epitelio delle vie aeree mediante approcci basati su terapia cellulare con staminali, terapia genica o “gene editing”, con particolare attenzione all’applicazione e all’utilità della tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte. Queste ultime derivano da cellule chiamate mononucleate che sono normalmente presenti nel sangue periferico (cioè quello che può essere recuperato con un normale prelievo di sangue). Le cellule mononucleate (o PBMC, da Peripheral Blood Mononuclear Cell) vengono isolate e fatte crescere in vitro usando delle metodiche particolari che ne permettono il ritorno a uno stato pluripotente, generando le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (o iPSC, da induced PluripotentStem Cell).Le iPSC, a loro volta, a seconda del metodo di coltura utilizzato, possono essere “riprogrammate” per dare origine a diversi tipi cellulari: questo è il significato del termine pluripotenti, cioè che hanno mantenuto la capacità di diventare cellule di vario tipo. John Mahoney, della Cystic Fibrosis Foundation, ha descritto come sia possibile “creare” cellule delle vie aeree in vitro, partendo da cellule iPSCderivate da cellule mononucleate PBMC.

In futuro, si potrebbe pensare di prelevare le PBMC dai singoli pazienti, di correggerne il gene malato attraverso tecniche di editing, di farle differenziare in vitro per dare origine a cellule delle vie aeree che verrebbero reintrodotte nei pazienti per ripopolare l’epitelio bronchiale malato. Matthew Porteus, dell’Università di Stanford, ha parlato dell’importanza di inserire dei meccanismi di controllo cellulare per prevenire l’espansione incontrollata delle cellule staminali. Ancora Brian Davis ha illustrato come generare cellule basali dell’epitelio delle vie aeree (le cellule basali sono quelle che mantengono un certo grado di staminalità, essendo in grado di moltiplicarsi e di dare origine ai diversi tipi di cellule che popolano il nostro epitelio respiratorio), partendo da cellule pluripotenti. Kalpaj Parekh, dell’Universitàdell’Iowa, ha infine descritto le sfide attuali nel campo del ripristino dell’epitelio delle vie aeree mediante uso di cellule staminali.

Questi percorsi verso cure di nuova concezione sono possibili anche grazie all’utilizzo dei modelli animali di FC disponibili oggigiorno, quali il topo, il ratto, il furetto, il maiale. Proprio a questa tematica è stato dedicato il simposio 9, con i contributi di Craig Hodges, della Università Case Western Reserve (sul topo FC), Susan Birket, dell’Università dell’Alabama a Birmingham (sul ratto FC), e infine John Engelhardt (sul furetto FC) e Patrick Sinn (sul maiale FC), entrambi provenienti dall’Università dell’Iowa.

Un largo spazio è stato poi destinato, nel programma del congresso, alle terapie farmacologiche con i modulatori. In particolare, nel simposio 21 si è discusso di come aumentare l’efficacia delle terapie attuali grazie alle crescenti conoscenze sulla biologia cellulare e l’impatto delle mutazioni in CFTR. Da segnalare per il loro interesse varie presentazioni: Margarida Amaral, dell’Università di Lisbona, ha parlato di possibili bersagli alternativi per aumentare la funzione di CFTR, mentre Evgueni Ivakine, dell’Ospedale Pediatrico di Toronto, ha descritto varie nuove strategie per correggere le mutazioni nonsenso mediante editing della sequenza. Questo nuovo approccio va quindi ad affiancare la ricerca (in corso da tempo) di composti “read-through”, cioè quelli in grado di far proseguire la traduzione della proteina anche in presenza di un segnale di stop nella sequenza, quali il composto ELX-02, approdato recentemente agli studi clinici. Infine, Normand Allaire, della Cystic Fibrosis Foundation, ha illustrato i principali difetti molecolari che possono essere associati alle mutazioni nonsenso.

Un’ultima menzione va poi fatta agli studi presentati, nel simposio 13, da Henry Danahay, della Enterprise Therapeutics, sulla efficacia preclinica e sicurezza dei potenziatori del canale alternativo TMEM16A, un bersaglio alternativo che potrebbe essere sfruttato per compensare il difetto di attività di CFTR. Infine Garry Cutting, della Johns Hopkins, ha descritto il ruolo di modificatore della malattia pancreatica in FC svolto dal trasportatore SLC26A9. Questa proteina è presente sulle stesse cellule pancreatiche in cui si trova anche CFTR, e, come CFTR, è implicata nel trasporto di cloruro e bicarbonato. Il trasporto di cloruro tramite SLC26A9 potrebbe, almeno fino a un certo livello, compensare il deficit di funzione di CFTR: gli individui che presentano un più alto livello di espressione di questa proteina potrebbero quindi preservare l’attività pancreatica per periodi più lunghi, ritardando l’insorgere della insufficienza pancreatica.

L’orizzonte della ricerca in campo FC si profila quindi molto ricco di novità e di nuove idee e ipotesi di lavoro. Dopo l’utopia, felicemente tradotta in realtà, di scoprire farmaci sempre più efficaci che intervengono sulla proteina CFTR, siamo pronti a gettarci in nuove sfide: nuovi approcci indirizzati sul gene andranno ad affiancare la terapia farmacologica. Quello che sprona tutti gli scienziati in campo FC è un unico vero obiettivo condiviso: trovare una cura per tutti gli individui con FC affinchè nessuno sia lasciato indietro.