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24 Agosto 2020

I perché molecolari dell’impatto di SARS-CoV-2 (COVID-19) sui malati di fibrosi cistica

F. Malvezzi

Sono passati oltre cinque mesi dall’inizio ufficiale della pandemia di SARS-CoV-2 (COVID-19) in Italia: un certo numero di dati e di osservazioni sperimentali, molte non del tutto prevedibili a inizio pandemia, sono ora disponibili per poter fare ragionamenti su quanto possa essere pericoloso il nuovo virus per le persone che soffrono di fibrosi cistica (FC). Fin dall’inizio è stato chiaro che SARS-CoV-2 è un virus altamente contagioso, specialmente in individui con condizioni cliniche preesistenti, come ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e malattie polmonari croniche ostruttive. La sindrome respiratoria acuta grave dal nuovo Coronavirus SARS-CoV-2, si verifica nella cellula ospite a causa di intricate interazioni con proteine e lipidi della membrana cellulare. D’altra parte, vari studi hanno mostrato che le infezioni virali causano il 60% delle esacerbazioni polmonari acute in fibrosi cistica. Sappiamo anche che nel 2009 l’influenza suina H1N1, anch’essa valutata pandemica dall’OMS, aveva causato notevole comorbidità e anche un certo grado di mortalità tra i pazienti con fibrosi cistica. Dato che la severità di molte infezioni virali respiratorie è più accentuata in FC che in persone senza FC, è in qualche modo sorprendente, ma anche molto rincuorante, che in report preliminari, riportati anche su questo sito (1), sia emerso come il virus SARS-CoV-2 non abbia determinato esiti più infausti in FC che nella popolazione generale, pur essendo causa di maggiore comorbidità e mortalità in persone con patologie pregresse.

I ricercatori sono andati a cercare le cause di questo nel modo in cui il virus interagisce con le cellule, e una revisione critica delle ricerche finora effettuate (2), pubblicata da ricercatori del New Hampshire (USA), ne riporta una sorta di sommario. Si tratta comunque di dati iniziali, dal momento che serve più tempo affinché i ricercatori possano effettivamente studiare a fondo la questione. Bisogna anche tenere conto che i malati di fibrosi cistica “sanno già cosa fare”, cioè che l’abitudine al distanziamento sociale ha sicuramente contribuito a rendere l’impatto di COVID-19 limitato. Ma per quei pazienti che hanno contratto il virus, come sono andate le cose? Se è vero, come sembra, che l’esito non è diverso da quello della popolazione generale, pur essendoci in gioco una seria condizione pregressa, come mai? Cosa permette, a livello molecolare, ai malati FC di essere, in qualche modo, protetti? Si può utilizzare questa conoscenza per mettere a punto qualche strategia terapeutica per la popolazione generale? Queste in sostanza le domande a cui i ricercatori stanno cercando di rispondere.

L’accesso dentro cellula al virus è consentito attraverso delle opportune proteine recettori, come fossero delle porte di ingresso poste sulla membrana cellulare. Tra i recettori sotto studio, nel caso del nuovo Coronavirus, vi sono due proteine indicate con le sigle ACE2 e TMPRSS2. La domanda, quindi, è se e in che modo varianti o variazioni nelle quantità di questi recettori possono provocare modalità diverse dell’infezione del virus nell’uomo. Il ruolo di ACE2 è piuttosto discusso, in quanto esso ha effetti multipli perché da una parte permette l’accesso al virus nella cellula e dall’altra media effetti antiproliferativi e antifibrotici. I ricercatori hanno studiato le cellule FC e analizzato i livelli di RNA messaggero (mRNA), quindi il messaggio per la sintesi corrispondente a ciascuno di quei recettori all’interno della cellula FC. Se la quantità di mRNA per quel recettore è elevata, significa che verrà prodotta una quantità elevata di recettore e viceversa. Hanno così osservato che l’mRNA per ACE2 è elevato mentre l’mRNA per TMPRSS2 è ridotto nelle cellule epiteliali delle vie aeree FC.

L’aumento del recettore ACE2 potrebbe portare a un aumento nel legame di SARS-CoV-2 a questa porta di ingresso nelle cellule epiteliali delle vie aeree, ma aumenterebbe anche la conversione di mediatori proinfiammatori in mediatori antinfiammatori. Pertanto, un aumento dell’ACE2 avrebbe sì l’effetto di aumentare la quantità di virus che penetra nella cellula, ma anche l’effetto di ridurre l’infiammazione e il danno polmonare dovuti a SARS-CoV-2. Inoltre, una diminuzione dei livelli del recettore TMPRSS2 diminuirebbe l’ingresso di SARS-CoV-2 nelle cellule epiteliali delle vie aeree. Infine, osservano i ricercatori, molti pazienti con FC vengono trattati con azitromicina, che notoriamente ostacola l’infezione virale e ha spiccata azione antinfiammatoria polmonare. Queste osservazioni sperimentali, ancora preliminari, sono importanti per chi soffre di fibrosi cistica ma sono altrettanto utili per capire di più questo nuovo virus: strategie terapeutiche per l’una o per l’altro potrebbero rivelarsi efficaci su entrambi i fronti, in quello sforzo comune e di mutuo aiuto che è la base della ricerca scientifica.

Ricordiamo che i dati aggiornati sui pazienti FC che hanno contratto COVID-19 in Europa si trovano al link del Registro ECFS (3): ad oggi riportano 150 casi confermati in Europa e 3 pazienti adulti purtroppo deceduti.

1) Pandemia Covid-19 e impatto sulle persone con fibrosi cistica
2) A Stanton, Thomas H Hampton, and Alix Ashare. SARS-CoV-2 (COVID-19) and Cystic Fibrosis. 2020. American Journal of Physiology
3) ecfs.eu/covid-cf-project-europe