Sei in Home . La Ricerca . Progressi di ricerca . La diagnosi di fibrosi cistica in età adulta

1 Aprile 2022

La diagnosi di fibrosi cistica in età adulta

Dott.ssa Graziella Borgo

La diagnosi precoce attraverso screening neonatale ha rappresentato un punto di svolta nella storia della fibrosi cistica perché ha permesso l’avvio di terapie sintomatiche fin dai primi mesi di vita, migliorando in maniera decisiva l’evoluzione della malattia. Ma non tutti i malati vengono diagnosticati attraverso lo screening neonatale e c’è una buona fetta di persone con fibrosi cistica che riceve la diagnosi superati i 18 anni.
Un recente articolo (qui) si è occupato di descrivere i numeri e le ragioni delle cosiddette diagnosi tardive in Italia, basandosi sui dati del Registro Italiano FC. Le diagnosi “tardive” in fibrosi cistica sono appunto quelle che avvengono dopo i 18 anni.
Secondo i dati presentati nell’articolo, nel periodo 2012-2018, i soggetti diagnosticati dopo i 18 anni sono stati 204 su un totale di 1122 diagnosi (18%). Guardando all’intera popolazione FC in vita nel 2018 (5501 soggetti), il numero complessivo di persone con diagnosi tardiva è di 690 (12,5%). Questi numeri suggeriscono che la diagnosi tardiva di fibrosi cistica non è un evento tipico del passato, ma viene fatta costantemente anche in anni recenti e rappresenta quasi 1 diagnosi su 5 fra quelle fatte ogni anno fra il 2012 e il 2018. Inoltre che i malati diagnosticati tardi rappresentano oggi un numero ragguardevole. Sono malati per lo più in discrete condizioni di salute. Infatti, le cause del ritardo della diagnosi sono spesso da attribuire a sintomi più modesti, tali da non evocare il sospetto della malattia; in altri casi, la diagnosi è dovuta alla presenza di un parente con fibrosi cistica oppure, nei maschi, alle indagini intraprese perché non arriva il figlio progettato.

Per saperne di più
Lo studio ha analizzato le caratteristiche cliniche dei malati con diagnosi tardive, prendendo in considerazione le persone diagnosticate nel periodo 2012-2018 e tutta la popolazione di diagnosi tardive in vita nel 2018. Sono malati che hanno caratteristiche cliniche particolari. Fermandoci sul primo gruppo, vediamo che su 204 soggetti l’età media alla diagnosi è intorno ai 36 anni (minimo 19, massimo 68). I maschi sono solo un po’ più numerosi delle femmine (111/204). Il fatto rilevante è che circa la metà di questi maschi (51/111) viene diagnosticata per la presenza d’infertilità e costituisce un sottogruppo con un quadro clinico particolarmente buono, che ha elevati livelli di funzionalità respiratoria (FEV1 media 96%), peso ottimale e solo nel 7% insufficienza pancreatica.
Nei rimanenti 60 maschi e nelle 93 femmine, la diagnosi viene fatta soprattutto sulla base di sintomi evocativi di fibrosi cistica (70%) oppure sulla scorta della familiarità per la malattia (30%). In tutti questi casi, il quadro clinico è nel complesso discreto seppur non buono come appare quello degli infertili: per esempio la funzione respiratoria ha notevole variabilità (in 10 soggetti è inferiore al 40%) ed è più frequente l’insufficienza pancreatica.
Guardando la popolazione di tutti i soggetti con diagnosi tardive in vita nel 2018, la casistica riproduce quasi gli stessi risultati: anche qui, se si prendono in esame solo i maschi (379/690), in circa la metà la diagnosi viene fatta per l’infertilità. Anche questo sottogruppo sta meglio del restante “misto” di maschi e femmine con caratteristiche cliniche di malattia più marcate, che hanno funzionalità respiratoria meno brillante e presenza di Pseudomonas aeruginosa (in particolare nelle femmine). Le femmine vengono diagnosticate in media all’età di 31 anni, i maschi a 33.

Il ruolo dello screening neonatale
Ci si chiede quale sia stato il ruolo dello screening neonatale di fronte alle diagnosi tardive. In Italia un programma pilota di screening neonatale è partito alla fine degli anni ‘70 e si è diffuso sul territorio nazionale nelle decadi seguenti. Nel 1998 raggiungeva ancora solo il 36% circa della popolazione italiana. Si può quindi ipotizzare che alla base di una certa quota di diagnosi tardive vi sia non tanto l’insuccesso dello screening nel segnalare casi sospetti quanto la sua mancata attivazione.
Colpisce la quota rilevante di soggetti diagnosticati tardi per sintomi, nonostante la conoscenza della malattia sia ritenuta aumentata nel tempo e quindi sia ipotizzabile un suo riconoscimento precoce. Anche il dato sulla diagnosi per familiarità è interessante, forse è una familiarità ancora tenuta nascosta o forse non c’è informazione sufficiente sul rischio di ereditarietà fra i parenti.

Diagnosi tardive e infertilità maschile
È importante il rilievo che lo studio dà all’ampio numero di soggetti maschi che arrivano tardi alla diagnosi di FC sulla scorta dell’infertilità. Sono un sottogruppo particolare, in cui le buone condizioni generali correlano con genotipi particolari (il più frequente F508del/5T;TG12), che probabilmente permettono maggiori livelli di proteina CFTR funzionante, tanto che il test del sudore presenta spesso valori borderline.
Dato il progresso delle indagini diagnostiche è possibile che in futuro sia più facile distinguere se questi soggetti hanno una fibrosi cistica in forma completa o una sindrome correlata al gene CFTR. Inoltre è sperabile che si possano avere maggiori dati per rispondere alla domanda, ancora non del tutto chiarita, se dopo la diagnosi le condizioni di salute subiranno peggioramenti o saranno stabili, problema fondamentale anche in vista di un accesso ragionato ai nuovi farmaci modulatori della proteina CFTR.