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Io odio la fibrosi cistica

perché averla è peggio che essere in prigione.

Dirigo uno stabilimento in provincia di Ferrara. In un giro di assunzioni ci viene mandata una persona appartenente a una categoria protetta, con un livello di invalidità significativo. Avevo avuto da qualche anno un incidente grave, che mi ha lasciato in sedia a rotelle. Arriva Claudia: è un po’ pallidina, dicono sia disabile, ma non mi pare molto. Ci ho impiegato anni a comprendere quanto la fibrosi cistica sia una malattia pesante e invalidante, anche se apparentemente invisibile. L’ho imparato perché Claudia è diventata la mia segretaria. Era tanto coscienziosa e scrupolosa e da operaia in un reparto di montaggio venne promossa a mia assistente.

I pazienti sono molto pudìchi, non raccontano mai davvero a cosa vanno incontro. Subito non avevo capito che la sua fosse una malattia per cui non esisteva una cura. Volevamo aiutarla a guarire e ci eravamo informati per portarla in America. Contemporaneamente, con altri industriali della zona, avevamo creato un cartello di aziende per aiutare nel sociale. Mettevamo 25-30 milioni di lire per azienda. Quando ci è stato detto che solo la ricerca poteva cambiare le cose, in 4-5 anni abbiamo finanziato diversi progetti FFC, per un importo di circa 150.000 euro.

Conosco Claudia oramai da 20 anni, ma ci è voluto il dottor Ettore Bigi, per chiarirmi le idee. Grazie a lui ho saputo che chi nasce con la fibrosi cistica, solo da qualche anno riesce a diventare grande. Prima moriva nella fase dello sviluppo. La malattia porta al deterioramento dei polmoni. È peggio che essere in prigione avere la fibrosi cistica. Durante una cena ho chiesto a Claudia di raccontare la sua giornata. Normalmente si sta fuori dalla stanza di questi malati e la malattia non viene percepita. Quando ci entri l’effetto è dirompente. Chi ascoltava Claudia è rimasto scioccato. La gente piangeva.

I progressi scientifici a cui abbiamo assistito sono stati significativi al punto da portare a una speranza superiore di guarigione. In un tempo ragionevole questa malattia verrà debellata, per questo è importante abbattere il muro dell’indifferenza e non darsi per vinti.

 Bruno, ingegnere

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