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25 Maggio 2005

Burkholderia cepacia e ambiente

Autore: Anonimo
Domanda

Vorrei più informazioni in merito a Burkholderia cepacia e ambiente.

 

Risposta

Burkholderia cepacia, conosciuta inizialmente come Pseudomonas cepacia, è stata descritta per la prima volta nel 1950 da Burkholder come patogeno delle piante (fitopatogeno), responsabile della putrefazione batterica delle erbe gigliacee, a cui appartiene la cipolla (cepa in latino). Studi microbiologici recenti (e molto approfonditi) hanno evidenziato che quello che si chiamava B. cepacia non è un germe unico, ma un insieme di almeno 9 sottospecie -o genomovars– che oggi costituiscono il B. cepacia complex. Nel complex le sottospecie hanno caratteristiche microbiologiche molto simili, ma la nostra conoscenza sulla loro patogenicità è finora sicuramente parziale.

Dal punto di vista clinico B. cepacia è in grado di causare nell’uomo infezioni cosiddette opportunistiche, soprattutto tra i pazienti immunocompromessi (con difetti di immunità, ndr) e in soggetti affetti da fibrosi cistica (opportunistiche sono dette le infezioni provocate da batteri che sono del tutto innocui per persone che non hanno problemi di compromissione delle difese antibatteriche, ndr).

Il problema peraltro non sembra quello di rispondere alla domanda se nella cipolla o altri alimenti (vegetali) tenuti in frigorifero si può trovare o no B. cepacia. Istintivamente infatti mi verrebbe da rispondere che è teoricamente possibile, soprattutto nei vegetali, perchè sappiamo che B. cepacia ha quel nome proprio perchè responsabile della putrefazione batterica della cipolla (ma è del tutto improbabile che sia la cipolla del frigorifero una sorgente di trasmissione di cepacia). Il problema vero è invece quello di conoscere a fondo l’habitat naturale dei vari genomovars di B. cepacia complex. Le conoscenze in questo settore tuttavia sono ancora parziali. L’habitat di B. cepacia complex è costituito dalle più svariate nicchie ecologiche, dal suolo e dalle acque dolci e salmastre, ma il germe è stato isolato anche in svariati altri ambienti. B. cepacia è inoltre presente nella rizosfera (massa del terreno in cui si sviluppano le radici delle piante) di numerose specie vegetali.

La modalità di acquisizione del germe da parte dei pazienti FC e il potere patogeno dei ceppi acquisiti dall’ambiente non sono chiari. Alcuni studi pubblicati in letteratura, per quanto rappresentativi solo di quelle realtà oggetto di studio, hanno evidenziato differenze genotipiche e fenotipiche (geni dei batteri e modo di comportarsi dei batteri, ndr) tra ceppi di origine clinica e ceppi di origine ambientale. Le diversità tra isolati clinici e isolati ambientali potrebbe suggerire una fonte di rischio relativamente basso per l’acquisizione del germe dall’ambiente.

Altri studi dimostrano però come la distribuzione delle specie del B. cepacia complex sia piuttosto omogenea e come sia possibile isolare ceppi appartenenti a ogni genomovar dall’ambiente (inteso in senso ampio, ndr). Per alcuni genomovar, come B. cenocepacia (genomovar III) esiste un’ampia distribuzione ambientale ma anche la maggior parte degli isolati clinici appartiene a questo genomovar. Nei pazienti italiani esiste una netta prevalenza di isolati di B. cenocepacia. La diffusione di ceppi che sono in comune fra ambiente naturale e pazienti FC è stata recentemente descritta e i ceppi patogeni umani possono non essere necessariamente distinti dai ceppi ambientali. Per alcuni genomovars, come ad es. B. ambifaria (genomovar VII), il ruolo come patogeno umano è sicuramente minore e il ceppo è da ritenere tipicamente ambientale.

Considerate le poche nozioni che oggi si hanno sull’acquisizione ambientale di B. cepacia complex, un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata a prevenire l’acquisizione non tanto dai vegetali conservati in frigorifero, ma la’ dove è effettivamente è conveniente e possibile esercitare la prevenzione. L’acquisizione di ceppi epidemici di B. cepacia complex è infatti ben descritta in alcuni Centri FC con pratiche igienico-sanitarie non ottimali e a seguito di contatti extra-ospedalieri fra pazienti. Anche se il concetto di trasmissibilità non è sinonimo di patogenicità, i ceppi epidemici (cioè più facilmente trasmissibili, ndr) sono di solito ritenuti più virulenti.

Si tenga presente che la trasmissione di B. cepacia complex avviene per contatto diretto, (trasferimento diretto di un agente infettivo a un ospite suscettibile da persone colonizzate/infette, per esempio con il bacio o toccandosi le mani contaminate con secrezioni o attività di assistenza che richiedono contatto diretto con il paziente); contatto indiretto (contatto di un ospite suscettibile con un oggetto che è stato contaminato con secrezioni contenenti l’agente infettivo); o attraverso le “goccioline” (trasmissione da persona a persona di agenti infettivi attraverso grosse particelle generate con la tosse, starnuto, parlando etc, che, proiettate a brevissima distanza nell’aria, si depositano sulla congiuntiva, sulla mucosa nasale o sulla bocca di un ospite suscettibile o nell’ambiente). Pertanto le attenzioni maggiori degli operatori sanitari, dei pazienti e dei loro familiari devono essere indirizzate soprattutto a prevenire l’acquisizione del germe negli ambienti di cura o in occasione di socializzazioni fra pazienti.

Buzzetti R, Braggion C, Festini F, Mastella G, Salvatore D, Taccetti G, et al. Controllo e prevenzione delle infezioni respiratorie nel paziente affetto da fibrosi cistica. Analisi e revisione critica della letteratura. Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica editore. Verona 2005.

 

Dr Giovanni Taccetti - Centro FC, Firenze


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