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1 Giugno 2016

Nutrizione enterale con PEG in una bambina con FC. Aspetti tecnici e problemi psicologici

Autore: Francesca
Domanda

Buongiorno,
sono la mamma di una bambina FC di 4 anni (pesa 12.900 ed è alta 99 cm). La bimba ha spesso acutizzazioni polmonari (Ps aeruginosa cronica), tosse, inappetenza e quindi mangia poco (per non parlare delle continue sfide di varie ore per farla mangiare e il senso di colpa e la tensione che crea in noi questa modalità di comportamento), non ha interesse per il cibo e anzi lo rifiuta. Da tempo, al centro ci hanno iniziato a parlare della PEG e, giorno per giorno, nonostante il dolore emotivo che dà a un genitore questo procedimento, sto valutando in maniera razionale il fatto di prenderla in considerazione. Siamo seguiti in un centro di supporto e dovremo scegliere un centro più grande per fargliela mettere (stavamo pensando a Verona). Sappiamo che ne dobbiamo ovviamente parlare dettagliatamente con il suo dottore, però mi interessava fare delle domande specifiche:
1) Come preparare una bimba così piccola all’inserimento della PEG, soprattutto dal punto di vista emotivo?
2) Come preparare i bimbi che stanno intorno a lei?
3) Come si svolge l’intervento, quanti giorni la terranno e se provoca dolore?
4) Informazioni sulla gestione?
5) È permanente o può essere rimossa?
6) I pazienti con PEG hanno trovato dei miglioramenti sia a libello fisico che respiratorio?
7) Sul piano dell’adattamento emotivo nel bambino ci sono delle notizie?
Scusate per le numerose domande, ma vorrei davvero avere un po’ più di controllo su questa difficile situazione. Un abbraccio.

Risposta

In attesa di risposte tecniche sulla PEG, diamo intanto alcune risposte sul versante psicologico, relativamente alle domande 1, 2, 7 (ndr).

In certe fasi dello sviluppo il nutrirsi, sebbene sia una funzione fisiologica, acquisisce una forte connotazione relazionale e la comunicazione, più o meno verbalizzata, del bambino in quel momento ha significati che vanno al di là della funzione che il cibo rappresenta.
Attraverso l’uso e il rifiuto del cibo il bambino instaura con il genitore una sorta di tiro alla fune che può anche portare, secondo lo stile di risposta della figura di accudimento, a una vera lotta, permeata dal bisogno reciproco di ottenere il risultato: quello di far nutrire il bambino da parte della madre, quello di dimostrare il proprio ruolo da parte del bambino.
Questo meccanismo di relazione ha quindi poco a che fare con la funzione nutritiva in sé, ma è in grado di disturbarla pesantemente e di rendere il momento del pasto un vero inferno.
Quanto sopra corrisponde a una situazione che nella popolazione generale ha un’incidenza molto alta e infatti sono molte le richieste ai pediatri di famiglia che vertono sulla tematica cibo, proprio perché il genitore non riesce a disinvestire su tale risultato e il bambino accentua la sua modalità di rifiuto.

In presenza di fibrosi cistica questo aspetto della relazione madre-bambino si complica, in quanto, se il meccanismo nel bambino appare sempre lo stesso, un iniziale rifiuto magari per disappetenza o scarso interesse del cibo, la risposta del genitore è amplificata dall’ansia che una perdita di peso possa collegarsi a una minore possibilità di far fronte a eventuali riacutizzazioni di malattia. Di ciò sicuramente anche noi sanitari dobbiamo fare autocritica, in quanto affrontiamo tale aspetto con particolare attenzione e spesso lo poniamo sotto a un riflettore

D’altra parte sappiamo che insistere con il bisogno di portare il bambino a nutrirsi secondo canoni che egli non sente propri, può essere un elemento di rischio per la relazione con le sue figure di accudimento e per la sua futura crescita psicoemotiva.
Il consiglio che più frequentemente viene dato è quello di considerare l’aspetto nutrizionale con particolare attenzione, ma senza rischiare che il bambino strutturi rifiuti, preferendo magari dilatare i tempi degli obiettivi e passare attraverso tappe diverse con obiettivi parziali.

Quando però i tempi non possono più essere dilatati e non è possibile permetterci di rimandare, si apre l’ipotesi della Gastrostomia endoscopica percutanea (PEG). E’ un momento non facile e anche noi lo valutiamo nella sua complessità ma, rispetto a quanto si chiede nella domanda, si possono delineare delle modalità di confronto con tale scelta che sicuramente saranno contenitive anche della possibilità di accettazione che il bambino potrà sviluppare. Nel rispondere alle domande della mamma dobbiamo ben sottolineare che, sebbene la bambina sia piccola, è d’obbligo informarla di cosa le sta per accadere, del perché si inserisce la PEG e del meccanismo con cui si mette, utilizzando ovviamente un linguaggio a lei assolutamente comprensibile. A un bambino piccolo si devono dare spiegazioni meccaniche perché a quell’età il bambino non sa e non deve fare una connessione tra malattia, suo rifiuto del cibo e necessità della PEG.

Una possibilità è dirle che ogni volta si mangia ci annoiamo e a volte ci arrabbiamo: allora la dottoressa ci ha detto che possiamo usare questo tubicino attraverso il quale, senza fatica facciamo passare tante cosine da mangiare che vanno direttamente nel pancino; in questo modo si può diventare più grandi senza faticare tanto a mangiare. Dovremmo riuscire a dare il senso di una cosa che, sebbene un po’ noiosa, però ci sarà di aiuto. Nella procedura che sarà spiegata potrete trovare appigli da utilizzare per parlarne in modo rassicurante (“mentre tu dormi mister buchino ti aiuta e porta nel tuo pancino un sacco di cosine che ti faranno crescere”). Ogni mamma trova il modo adatto al proprio figlio, magari utilizzando il nome di un super eroe o di una principessa per rinominare la PEG.

Al momento dell’inserimento è obbligo spiegare passo per passo al bambino cosa gli accadrà e farlo non tre o quattro giorni prima e basta, ma anche poco prima e chiedere al medico che dica alla bimba cosa le sarà fatto; al risveglio la bambina avrà il buchino di cui avevate già parlato, etc, etc.

Un bambino con la PEG può continuare la sua vita di relazione e talvolta, sebbene non sempre, può rendersi necessario dare risposte ad altri bambini che la notino. Nello specifico della domanda la bambina, avendo 4 anni, ha ancora una vita di relazione e attività ridotte, per cui, per quanto riguarda il confronto con gli altri bambini, dobbiamo considerare: 1) quando è veramente necessario informarli; 2) l’età di questi bambini. Informare i bambini si rende necessario solo in situazioni in cui la PEG sia visibile o in situazioni in cui il bambino possa rischiare traumi, aspetti che ad esempio non sono così ricorrenti a scuola, dove però è bene informare le insegnanti. Se ci sono invece frequentazioni particolari, ad esempio al mare, alle diverse età si usano comunicazioni diverse, che però non dovrebbero prescindere dal significato autentico dell’utilizzo della PEG. Se la bambina ha amichetti di pari età, con essi si può utilizzare una spiegazione meccanica e non collegata alla malattia (esempio, “… non ha mai voglia di mangiare e per evitare che il suo pancino brontoli facciamo passare la minestrina da questo bottoncino”). A quell’età i bambini possono insistere (“ma come ci passa? ma dove va?”). Dobbiamo trovare sempre una risposta: in genere, dopo due o tre domande passano oltre. A un adolescente o preadolescente si può spiegare che la bambina non aveva tanto appetito e non riusciva a crescere, per cui era necessario aiutarla perché con la fibrosi cistica un peso corporeo troppo basso non è indicato.

In ultimo, due considerazioni. Esistono alcuni studi sull’adattamento emotivo del bambino alla PEG, ma possiamo assumere come base la ricerca esistente in psicologia che riguarda il contenimento emotivo che un genitore può dare al figlio nei momenti di difficoltà.
Possiamo ritenere che, qualora il bambino posa lamentarsi o preoccuparsi di avere la PEG, sarà la rassicurazione del genitore sul suo utilizzo, sull’utilità e sulla possibile risoluzione in futuro che fungerà da contenitore e potrà tranquillizzare il bambino fornendogli gli strumenti adatti a far fronte alle difficoltà.

Ogni genitore che compia un percorso sul proprio dolore emotivo, legato al dover scegliere questo presidio, che riesca a farsi aiutare qualora senta un peso troppo grande nel confrontarsi con questa nuova necessità di cura, sarà sicuramente in grado di accompagnare il figlio verso un momento in cui, ci auguriamo tutti, il peso corporeo sarà raggiunto e la PEG potrà essere rimossa.

Dr.ssa Paola Catastini, Psicologa presso Centro Regionale Toscano FC, Osp. Meyer, Firenze


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