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16 Maggio 2017

Il difficile compito di stabilire quando un soggetto FC con mutazione a funzione CFTR residua possa giovarsi di ivacaftor, stante la grande variabilità di risposta di queste mutazioni

Autore: Carmine
Domanda

Dottori buongiorno, torno su un argomento più volte da voi trattato anche se vorrei andare un po’ oltre. Mia figlia, (mutazioni D579G/ 2789+5G>A), potenzialmente potrebbe già beneficiare del farmaco Kalydeco, perché entrambe sono a funzionalità residua ed entrambe rientrano tra quelle inserite nello studio Vertex di cui non si conoscono ancora risultati ulteriori, dopo il primo rigetto da parte delle autorità americane. Il punto è che in questo studio sono state inserite decine di mutazioni che rispondono in maniera molto diversa al farmaco, in particolare mentre la 2789+5G>A sembra che tragga dei discreti benefici, la D579G sembra invece rispondere al farmaco in maniera uguale o superiore alle mutazioni gating attualmente riconosciute, avvalorando quindi i risultati già chiari avuti in vitro (magicbluepill.files.wordpress.com/2012/09/slide9.jpg),
Personalmente conosco un sessantenne americano con la D579G più altra mutazione classica che era in attesa di trapianto: da quando l’assicurazione gli ha riconosciuto la sovvenzione del farmaco, non ha avuto più bisogno, non è più in lista di attesa e sta bene come mai in vita sua (utilizzando sue parole). Studi indipendenti avvalorano quanto detto su questa mutazione (ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5079351/).
La domanda è: che senso ha chiedere un’autorizzazione a gruppo se è chiaro che ogni mutazione a funzione residuale dà una risposta differente? Cosa posso fare io genitore che sono a conoscenza del fatto che il farmaco è efficace più che in altre mutazioni riconosciute (vedi Orkambi), eppure per burocrazia non può accedervi? Grazie.

Risposta

Il problema generale posto da questa domanda è chiaro e riguarda non pochi malati FC in Italia: Kalydeco (ivacaftor) potrebbe essere efficace anche per altre mutazioni che si presume permettano un certo funzionamento di CFTR (funzionalità residua). E quindi perché non poterlo adottare come terapia, anche se non è stato ancora ufficialmente sperimentato? È vero, l’ipotesi che Kalydeco possa essere efficace sulle mutazioni che permettono l’arrivo di una certa quota della proteina CFTR sulla membrana cellulare e si accompagnano a segni clinici di un certo suo funzionamento (quali sufficienza pancreatica, livelli di cloro nel sudore oltre la soglia di normalità ma non elevatissimi, benignità di quadro polmonare), ha un fondamento razionale. Il problema è che non sappiamo abbastanza quale e quanto sia questo funzionamento e come sia possibile prevederlo. Vi sono implicati vari fattori, molecolari e genetici (non dobbiamo dimenticare il ruolo della seconda mutazione CFTR presente nel genotipo). La stessa definizione di “mutazioni con funzionalità residua” è molto generica: vi sono incluse mutazioni appartenenti a varie classi (quindi con diverso meccanismo d’azione) e mette sullo stesso piano soggetti con quadri clinici anche molto diversi. Questa genericità è indicativa di conoscenze ancora incomplete. È probabile che la funzionalità residua sia legata a un complesso di fattori, più che alla singola mutazione e rappresenti la somma di un particolare assetto individuale. Il problema è sintetizzato bene da quel concetto di medicina personalizzata di cui hanno molto parlato i media tempo fa (ne aveva fatto cenno in un discorso alla nazione l’ex-presidente Obama, sottolineandone l’importanza nel campo della ricerca). Ogni individuo ha particolari caratteristiche che richiederebbero di essere conosciute per ottenere la massima efficacia dei farmaci che assume.

Per varie ragioni è difficile prevedere la risposta del singolo individuo al potenziatore Kalydeco, anche se la mutazione con funzione residua in gioco fosse la stessa di quello di un altro soggetto. In teoria il modello ideale di sperimentazione sarebbe quello in cui è lo stesso individuo che fa da controllo di sé stesso, offrendo alla valutazione scientifica esterna il paragone di un periodo in cui assume il farmaco (somministrato possibilmente “in cieco”) con quello in cui non lo assume. Ma organizzare trial clinici con questo disegno non è facile, anche perché naturalmente occorrerebbe un certo numero di soggetti il più possibile uguali per genotipo (cioè uguali per entrambe le mutazioni CFTR).

Per quanto riguarda la pubblicazione citata, riferisce l’esperienza di trattamento con ivacaftor per periodo prolungato (3 anni) in 7 pazienti con una mutazione con funzione residua nel genotipo: nessuna di queste, fra cui vi è D579G, è ancora ufficialmente ritenuta indicata come trattabile con il farmaco. Gli autori dicono che in tutti questi 7 casi c’è stato miglioramento del quadro clinico (funzionalità respiratoria, stato nutrizionale, frequenza delle esacerbazioni) e in 5 casi su 7 diminuzione, seppure non significativa, del cloro nel sudore. Vengono confrontati i 7 trattati con 4 non trattati e seguiti per periodo simile, che appaiono lievemente peggiorati. Dei 4 casi non trattati, solo 2 avevano mutazione con funzione residua uguale ai trattati (ma diversa la seconda mutazione), gli altri avevano mutazione diversa e questo rende meno convincente la dimostrazione (ritorna il problema della individualità della risposta). Comunque, anche se il lavoro non è certo un trial clinico classico (manca l’assegnazione random del farmaco, manca la somministrazione del placebo), è un tentativo di dimostrare con criteri clinici più controllati l’efficacia del farmaco e rappresenta un tassello in più sulla strada per dimostrarne l’efficacia.

Viste le difficoltà, si stanno cercando nuovi modi per verificare l’efficacia dei farmaci che agiscono su CFTR: si ricorre a modelli cellulari che siano provenienti proprio da quel singolo individuo e possano fedelmente rappresentarlo. Sono gli organoidi intestinali, prodotti in laboratorio partendo dal prelievo di cellule (da biopsia rettale) proprio di quel soggetto oppure dalle sue stesse cellule dell’epitelio nasale (brushing nasale). Entrambi i saggi possono indicare se CFTR risponde al farmaco e, in una certa misura, anche quanto risponde. Certo, un qualche scostamento da quanto avviene nella complessità dell’intero organismo di quel soggetto ci può ancora essere, ma minore che in altre prove. Non siamo lontani dall’avere questi biomarcatori e anche progetti FFC sono a supporto di questo filone di ricerca, che viene sviluppato con grandissimo interesse a livello internazionale.

Proprio perché la risposta è estremamente individuale, non si può fare riferimento nemmeno all’esperienza riferita da un altro individuo con la stessa mutazione: le esperienze individuali sono preziose e sempre degne di essere conosciute, ma non possono avere un grande peso perché non sono soggette ad alcun controllo scientifico. E non si può prendere per certezza assoluta neanche il risultato delle prove in vitro. Nella domanda viene riportata una tabella con l’efficacia in vitro (valutata attraverso la misura del trasporto di cloro) di ivacftor (Kalydeco) nei confronti di vari tipi di mutazioni CFTR fra cui D579G, la mutazione che interesse il nostro lettore. La tabella appartiene probabilmente a una presentazione dell’azienda Vertex al Congresso Nord Americano del 2012. Secondo la tabella, ivacaftor potenzierebbe anche D579G, mutazione che alcune pubblicazioni italiane hanno già descritto come associata a caratteristiche di benignità clinica (modesto o assente interessamento polmonare, sufficienza pancreatica) (1, 2). Perciò, è legittima l’ipotesi che sia una mutazione con funzione residua e che possa giovarsi del potenziatore Ivacaftor, ma in qualsiasi campo della ricerca biomedica i risultati in vitro non sempre predicono esattamente quello che succede in vivo. Questa è la ragione per cui occorre sempre grande cautela nell’interpretarli e occorrono almeno studi su modelli cellulari e modelli animali. I modelli cellulari, a cui abbiamo accennato sopra, rappresentano quelli più avanzati.

In conclusione, siamo orientati a ritenere come non sia solo un problema di burocrazia avere o non avere accesso attualmente a Ivacaftor per chi ha una mutazione con funzione residua ufficialmente non sperimentata. Occorrono evidenze scientifiche, occorrono tappe successive della ricerca in laboratorio, esperienze cliniche controllate. Queste sono le regole su cui si fonda la sanità nella società moderna. L’adeguarsi a queste regole può sembrare un vincolo assurdo per chi aspetta, però l’alternativa è l’incoraggiamento a un “fai da te” che corre il rischio di ampliarsi a cascata e può avere ripercussioni sfavorevoli a vari livelli. Anche se comprensibilmente molto difficili da accettare, queste regole vanno viste come una tutela e non un solo un assurdo impaccio sulla via della salute. Importante è parlarne con i medici che seguono l’interessato: possono sollecitare ricerche, stabilire contatti, offrire sponda razionale per cercare una soluzione al problema, soluzione che riteniamo non lontana.

1. Guigui S, Wang J, and Cohen RI. The use of ivacaftor in CFTR mutations resulting in residual functioning protein. Respir Med Case Rep. 2016; 19: 193–195.
2.Salvatore D, Tomaiuolo R, Abate R, Vanacore B, Manieri S, Mirauda MP, Scavone A, Schiavo MV, Castaldo G, Salvatore F. Cystic fibrosis presenting as metabolic alkalosis in a boy with the rare D579G mutation. J Cyst Fibros. 2004 Jun; 3(2):135-6.
3. Picci L, Cameran M, Olante P, Zacchello F, Scarpa M.Identification of a D579G homozygote cystic fibrosis patient with pancreatic sufficiency and minor lung involvement. Mutations in brief no. 221. Hum Mutat. 1999; 13(2):173.

G. Borgo


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