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10 Gennaio 2005

Selezionare gli ovociti invece che gli embrioni per la diagnosi genetica nella procreazione medicalmente assistita? I limiti delle “tecniche” riproduttive.

Autore: Anonimo
Domanda

Selezionare gli ovociti invece che gli embrioni per la diagnosi genetica nella procreazione medicalmente assistita? I limiti delle “tecniche” riproduttive.

Risposta

La notizia che Liliana riporta (vedi Domande e Risposte) corrisponde al vero: il prof. Sirchia ha designato una commissione per lo studio della selezione degli ovociti. Ma ci siamo informati e ci risulta che a tutt’oggi questa commissione non si è mai riunita.

Il dibattito etico su che cosa sia l’embrione e quale destino debba essergli riservato, a seconda che sia riconosciuto come essere umano o come cellula base (o insieme di cellule base) con il massimo delle potenzialità evolutive, crea profonde divisioni e costituisce una delle ragioni fondamentali alla base della richiesta di revisione della Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. La commissione di studio era nata con lo scopo di superare le divergenze ideologiche ed esaminare sul piano scientifico la realizzabilità di tecniche capaci di identificare le anomalie trasmissibili nelle cellule destinate alla riproduzione (ovocita e spermatozoo), prima che l’embrione stesso sia concepito.

L’analisi del DNA di un singolo ovocita o un singolo spermatozoo implica l’inattivazione della cellula che rimane priva di materiale genetico e non più vitale.

Come fare allora?

Per quanto riguarda gli spermatozoi, per scegliere quali utilizzare per la fertilizzazione, l’esperto dispone di criteri piuttosto grossolani e di modesta affidabilità. Vengono scelti, per esempio, quelli che hanno maggiore motilità, dato che è stata scientificamente dimostrata una correlazione fra il grado di motilità e una generica normalità del materiale cromosomico.

Per quanto riguarda gli ovociti si potrebbe ricorrere all’analisi dei globuli polari.

Che cosa sono i “globuli polari”?

Sono cellule “minori ” o secondarie che l’ovocita stesso emette nel corso di un complesso processo attraverso cui “matura” e si rende adatto, anche in termini di contenuto di materiale genetico, alla fertilizzazione da parte dello spermatozoo.

Queste cellule minori contengono una “copia” del DNA dell’ovocita: su questa copia è possibile eseguire indagini per evidenziare anomalie di numero o di forma dei cromosomi o mutazioni genetiche conosciute. Dal risultato di queste indagini è possibile ricavare indirettamente la diagnosi della normalità o anormalità del DNA dell’ovocita, selezionando così quello adatto alla fertilizzazione. Teoricamente il metodo sembrerebbe ideale, ma nella realtà dell’applicazione si scontra con diversi problemi: per esempio non sempre l’ovocita produce globuli polari di buona qualità per l’analisi, per cui è necessario averne a disposizione ed esaminarne un numero elevato; ma soprattutto c’è il rischio che il DNA dell’ovocita presenti delle varianti, chiamate “ricombinazioni”, rispetto al DNA del globulo polare, e questo aumenta il rischio complessivo di errore nella diagnosi (Kanavakis E, J Med Genet,39,6,2002).

Vi è un gruppo di esperti della medicina della riproduzione che negli U.S.A. (soprattutto a Chicago) applica questo metodo, in via ancora sperimentale, per la diagnosi genetica e il successivo impianto di embrioni: analizza infatti i globuli polari invece che le cellule prelevate direttamente dall’embrione (Verlinsky Y, J Assist Reprod Genet 1999,16,165; Strom CM,Pediatrics 2000,106,150). E’ importante sapere che comunque anche con questo metodo devono essere “prodotti” più embrioni e soprattutto che la conferma della diagnosi avviene in una fase in cui l’embrione è già stato “prodotto” (l’ovocita è stato fertilizzato dallo spermatozoo e il DNA delle due cellule si è fuso).

La maggior parte degli altri centri in Europa e altrove adottano il metodo classico del prelievo di cellule dall’embrione (tre giorni dopo la fertilizzazione dell’ovocita, ad uno stadio di sviluppo di otto cellule), con indagine diretta su queste (ESHRE Preimplantation Genetic Diagnosis Consortium, Human Reproduction 2002,17,233), proprio per le minori difficoltà tecniche e la maggiore accuratezza e affidabilità della diagnosi che se ne ricava.

Questa è la situazione attuale, difficile dire di eventuali sviluppi futuri.

Per chi deve affrontare oggi le decisioni in questo campo, sembra inevitabile confrontarsi con il problema da cui siamo partiti, che è quello della liceità della selezione degli embrioni. In alcuni paesi essa è ammessa non solo in presenza di gravi malattie genetiche, ma anche allo scopo di “produrre” embrioni che abbiano tessuti compatibili e cellule idonee alla cura di altri membri della famiglia affetti da gravi malattie: nel caso di Luca (di cui si sono occupati anche i giornali alcuni mesi orsono), malato di talassemia, una malattia genetica grave che si eredita da due portatori sani con le stesse modalità della fibrosi cistica, i genitori sono andati all’estero e in un centro specializzato hanno procreato “in provetta” un certo numero di embrioni. Fra questi sono stati selezionati quelli che presentavano due caratteristiche: non essere talassemici e avere caratteristiche genetiche tali da poter fornire cellule staminali per la guarigione di Luca, il figlio malato.

Su questo argomento (embrioni e cellule staminali) ritorneremo presto.

Dott. Graziella Borgo


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