Non siamo a conoscenza diretta della procedura adotta dal centro screening di Verona, però possiamo dire che oggi nella maggior parte dei centri, in caso di valore di tripsina positivo, si usa eseguire sulla stessa goccia di sangue il test genetico per la ricerca delle mutazioni del gene CFTR che causano malattia. Assieme alla tripsina positiva, l’identificazione di anche una sola mutazione CFTR nota per causare la malattia è considerata criterio sufficiente per indirizzare il bambino al test del sudore.
Supponiamo che siano queste le ragioni per cui il bambino è stato chiamato al test del sudore e cioè una tripsina positiva e forse almeno una mutazione CFTR. Il test del sudore è un test indolore che è molto affidabile quando eseguito in mani esperte (quali sono quelle di un grande centro regionale). Affidabile vuol dire che è difficile che dia risultati falsamente positivi o falsamente negativi. Il protocollo prevede anche che il risultato del test sia comunicato in tempi il più brevi possibili, per alleviare l’ansia dei genitori.
Un valore di tripsina positivo (bisogna vedere quanto elevato) e la presenza di una mutazione CFTR, non vogliono dire automaticamente che il neonato è affetto da fibrosi cistica, per questo si esegue il test del sudore che è quello indispensabile per la diagnosi (gli altri sono test di screening).
È difficile rispondere alla domanda quanti siano i neonati che, segnalati dai test di screening, fanno il test del sudore e sono diagnosticati malati. Il numero, infatti, dipende da come sono stati scelti i valori di riferimento dei test di screening: se vengono scelti in modo da costituire una rete con maglie molto strette, segnaleranno solo pochi neonati altamente sospetti di malattia e, fra questi, saranno molti i neonati con test del sudore patologico. Se invece le maglie della rete sono larghe prenderanno dentro anche tanti neonati con basso sospetto di malattia e, fra questi, saranno pochi quelli con test del sudore patologico.
Ogni strategia avrà quindi una propria specificità, cioè una propria percentuale di falsi negativi o positivi, non semplicemente al dosaggio dell’IRT ma al complesso degli accertamenti eseguiti.
C’è da dire che nel tempo le procedure di screening adottate nelle varie regioni si sono perfezionate e hanno ottenuto in generale una netta diminuzione di bambini che sfuggono alla diagnosi pur essendo malati; ed è molto scarso il numero di quelli sospettati malati ma sani (qui un approfondimento).
I dati di letteratura mostrano una variabilità non trascurabile di queste percentuali, ma secondo gli standard di cura della Società Europea di Fibrosi Cistica si dovrebbe cercare di contenere il numero di falsi positivi a non più di due per ogni nuova diagnosi identificata dallo screening neonatale (qui un approfondimento).