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27 Maggio 2012

Aspettativa di vita: perché non diciamo le cose come stanno?

Autore: S.
Argomenti: Aspettativa di vita
Domanda

Buongiorno, stamani mi ritrovo sul vostro sito per sottoporvi a riflessione una questione delicata, dopo che ieri ho appreso purtroppo che una famiglia ha perso la propria bambina affetta da fc, di appena 13 anni. Circa 3 anni fa è venuta a mancare anche un’altra bambina di nemmeno 10 anni sempre con fc, e chissà quante altre così giovani vite spezzate. Chi vi scrive è una mamma con una figlia con fibrosi cistica di appena 3 anni, ma potrei essere qualsiasi altro genitore che in questa situazione, dopo aver appreso queste “disgrazie”, sprofonda nel baratro e si sente morire quasi come quelle povere famiglie che hanno perso i propri figli cosi prematuramente. Vorrei riuscire a capire il metro di misura, vorrei poter comprendere perché, nonostante siamo nel 2012 e nonostante ci venga “inculcato” nella testa che la vita media per i “nuovi nati” è 40/50 anni (?), continuano a morire piccoli bambini nati pochi anni fa dove anche li la vita media si aggirava comunque oltre i 30 anni! Sono consapevole che ogni paziente con fibrosi cistica è un caso a sé: già i fratelli entrambi malati, entrambi con le medesime mutazioni hanno destino diverso, ma non riesco davvero a capire per quale motivo continuiamo a propagandare una “vita media per i nuovi nati” di 40/50 anni, quando in realtà chi muore di fibrosi cistica ai giorni d’oggi sono ragazzi comunque sempre giovani. Nei mesi passati se ne sono andati in molti, ho perso il conto sulle dita, e per la maggior parte l’età si aggirava intorno ai 20 anni! Ma allora qual è il senso di sensibilizzare le persone in questo modo? La fibrosi cistica è anche chi è in terra adesso e soffre come una bestia! La fibrosi cistica è anche chi sta morendo adesso e non solo chi nasce d’ora in avanti con la malattia! La sensibilizzazione deve essere fatta “dando vere medie/mediane” per chi sta combattendo adesso, per chi se ne va in giovane età come sta accadendo adesso. Ho a che fare spessissimo con persone non direttamente coinvolte dalla malattia, essendo una volontaria, e purtroppo le persone che leggono “vita media 40/50 anni” si soffermano e mi dicono che è un ottimo traguardo perché comunque, se la vita media è cosi alta, significa che almeno mia figlia “camperà” fino a 50 anni e con le prospettive “anche oltre”. Ma questo non è ciò che succede nel 2012! La verità è che si muore a 20 anni, la verità è che tra i bambini che hanno appena 10 anni alcuni stanno già male, la verità è che moltissime persone che conosco purtroppo già a 20 anni hanno fev1 al limite dell’ingresso per il trapianto, come anche altri casi intorno ai 12/15 anni. Ma allora dove sta il metro di misura? Perché non diciamo le cose come stanno? Perche continuiamo a propagandare “numeri” col senno di poi? Scusate lo sfogo, ma ritengo seriamente che le persone debbano sapere cosa c’è dietro, e non una semplice “bella previsione” che nemmeno sappiamo se si avvererà. Ma soprattutto, genitori che con rabbia perdono i propri figli bambini e ritengono tutto una grande presa in giro, e magari pensano che se il messaggio fosse passato diversamente, fosse stato più realistico e non probabilistico i fondi sarebbero stati di più, ecc ecc. Col senno di poi non si va avanti, ma la rabbia dentro cresce e di già è difficile accettare la malattia, figuriamoci tutto il resto. Vi ringrazio tantissimo per il lavoro che fate. Buona giornata.

 

Risposta

Non abbiamo difficoltà a comprendere l’angoscia di chi viene a conoscere la morte di bambini che hanno problemi di salute simili al nostro. La nostra interlocutrice rivolge al mondo dei comunicatori un appello a dire esattamente come sta la realtà dei malati di fibrosi cistica. E, tanto per incominciare, crediamo che nessuno voglia nascondere il fatto che la fibrosi cistica, generalmente parlando, sia malattia grave: nel senso che accorcia la vita di chi ne è colpito e la rende in genere molto faticosa, prima o poi, per chi più e per chi meno. Se non fosse così non si investirebbero tanta energia e tante risorse per porvi rimedio: pazienti, genitori e curanti da un lato, scienziati e promotori di ricerca dall’altro. Sappiamo che questa è una malattia di cui abbiamo progressivamente migliorato il decoroso negli anni ma che non abbiamo ancora debellato. Non va peraltro dimenticato che 50 anni fa (esperienza diretta di chi scrive) i bambini diagnosticati FC morivano per la gran parte nei primi mesi o primissimi anni di vita: oggi il 50% delle persone con FC ha superato i 18 anni e molti di questi hanno un ragionevole stato di salute per un tempo protratto.

Ed ora passiamo a qualche aspetto tecnico relativo alle elaborazioni statistiche di mortalità e sopravvivenza. Ci sono due modi per fare questi conti. Il primo è quello di contare semplicemente le persone che sono decedute anno per anno, registrando l’età al decesso. Così, per stare in Italia e riferendoci al vecchio registro italiano FC (1), che purtroppo ebbe vita limitata dal 1988 al 2004, vediamo che la mediana di età ha un incremento progressivo: la mediana è quell’età oltre la quale vive la metà dei pazienti e al di sotto della quale è deceduta l’altra metà (è peraltro quasi sovrapponibile alla media aritmetica se si dispone di grande numero di pazienti). Nel periodo 1988-1991 l’età mediana al decesso era di 14,7 anni, tra il 1992 e il 1995 era di 18,6 anni, tra il 1996 e il 1999 era di 21,5 anni, nel periodo 2000-2004 era salita a 23,2 anni. Questi dati sono molto simili a quelli riportati dal registro nordamericano per gli stessi periodi (2).

Questo modo di calcolare la durata della vita dà peraltro una informazione distorta della realtà generale della malattia, soprattutto perché non tiene conto di come potrebbe essere il decorso per tutti gli altri pazienti che non sono deceduti, mentre considera solo quei pazienti che molto probabilmente avevano forme più gravi di malattia. Per fare un calcolo corretto bisognerebbe aspettare la fine di vita di tutti i pazienti nati in un determinato periodo. I lunghissimi tempi necessari per una tale operazione renderebbero inutile una tale informazione, che invece a noi serve per valutare gli effetti delle cure, dell’assistenza, dell’organizzazione assistenziale, su cui poter aggiustare le nostre azioni. Per queste ragioni gli statistici hanno elaborato un criterio più corretto e più tempestivo che, partendo da dati reali (quanti pazienti vivi e quanti deceduti anno per anno) elabora una tendenza generale nel tempo che consente una predizione della possibile durata di vita dei malati. Si tratta dell’ “analisi delle tavole di vita” secondo il metodo detto di Kaplan-Meier. In pratica, si parte da un grande numero di pazienti considerati al momento della loro nascita e seguiti nel tempo, registrando quanti di essi sono vivi e quanti sono deceduti anno per anno. Si vede così che i malati viventi alla nascita, quando erano il 100%, diminuiscono anno per anno di età e la percentuale dei sopravviventi tende a calare. Le curve che descrivono questo andamento sono andate sempre più migliorando nel tempo. Con riferimento ai dati del registro FC USA (report 2010) (2), il più consistente quanto a numero di pazienti (oltre 26 mila), nel 1986 la mediana di vita attesa era di 27 anni ed è salita a 38,3 anni nel 2010. Alcune statistiche europee sono anche migliori di quella americana e danno valori di mediana che superano i 40 anni.

Queste curve di sopravvivenza sono molto diverse se si raggruppano i pazienti secondo diverse categorie: ad esempio quelli diagnosticati attraverso screening neonatale (hanno attesa di vita più lunga) confrontati con quelli diagnosticati tardivamente per sintomi, quelli con mutazioni lievi rispetto a quelli con mutazioni severe, e così via. In questi andamenti medi, descritti dalle elaborazioni statistiche, c’è infatti una grande variabilità: sappiamo ormai che i malati FC non sono tutti uguali, non solo perché hanno genotipi diversi, ma anche per il modo con cui vivono, per come sono curati, per quanto accettano la malattia e sono fedeli alle cure, etc, etc. Le nuove terapie, con tutta probabilità, modificheranno sostanzialmente l’attesa di vita, magari in misura diversa da caso a caso, ma la modificheranno.

Immaginiamo che queste informazioni consolino assai poco la nostra interlocutrice, ma questo crediamo sia l’unico modo per dire le cose come stanno, almeno in generale. Nel singolo caso poi i conti si fanno confrontandosi con le persone che conoscono bene il paziente e se ne prendono cura.

1. Orizzonti FC, Nov. 2006. Registro Italiano FC: Report 2004 www.sifc.it
2. US Patient Registry. Annual Data Report 2010. www.cff.org

 

G.M.


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