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23 Febbraio 2004

Come si fa a sapere se c’è nel DNA FC

Autore: Dina
Argomenti: Screening neonatale
Domanda

Non abbiamo soggetti affetti da fibrosi cistica nelle nostre famiglie. Eppure il nuovo nato, dopo gli esami di screening neonatale, è risultato essere affetto da fibrosi cistica. Come è possibile? E’ possibile sapere se una persona ha nel suo DNA il tratto della fibrosi cistica?

 

Risposta

Come al solito, si rimanda al Medico di riferimento o al Centro che ha eseguito lo screening la discussione del caso particolare. Qui ci limitiamo ad evidenziare le informazioni sullo screening neonatale della fibrosi cistica, sollecitate da chi ha posto la domanda, che possono interessare tutti. Lo screening neonatale FC viene eseguito, assieme a qualche altro test per malattie congenite, a tutti i neonati, in quasi tutte le regioni italiane, con lo scopo di identificare entro il primo mese di vita i bambini con fibrosi cistica: le cure avviate precocemente consentono una prospettiva di salute assai migliore. Lo screening consiste nell’eseguire la determinazione della concentrazione di “tripsina immunoreattiva” (IRT), una sostanza prodotta dal pancreas e riversata nel sangue, in una goccia di sangue prelevata dal tallone del neonato al 3° giorno di vita. Livelli alti di IRT sono abituali nella fibrosi cistica , ma da soli non consentono di fare la diagnosi definitiva. Di fronte a livelli alti di IRT la maggior parte dei centri procede ad un secondo esame IRT e se questo si conferma positivo si passa all’analisi delle mutazioni CFTR sullo stesso campione di sangue e al test del sudore. Un test del sudore positivo (vedere quesito “Mauro” del 10.02.04) conferma definitivamente la diagnosi, ma la diagnosi è confermata anche dal riscontro di una doppia mutazione all’analisi genetica (vedere quesito “Mauro” ). Alcuni Centri di screening non chiedono un secondo esame IRT ma procedono subito all’analisi di mutazioni sul primo campione di sangue risultato IRT positivo e passano in un secondo momento al test del sudore. In alcuni casi, definiti “atipici”, la diagnosi definitiva o la esclusione di diagnosi CF richiede ulteriori accertamenti. Un neonato che risultasse definitivamente diagnosticato come fibrocistico non ha obbligatoriamente altri malati in famiglia, anzi il più delle volte non ci sono altri casi tra i familiari e parenti: questo è tipico delle malattie genetiche cosiddette “autosomiche recessive”, e la fibrosi cistica è una di queste. Ricordiamo infatti che la malattia in questi casi è trasmessa da due genitori che sono entrambi “portatori sani” di una mutazione del gene CFTR. Nella maggior parte dei casi questi genitori non sanno di essere portatori di questo tratto, come di altri tratti genetici, che possono trasmettere ad un figlio (ad ogni gravidanza, 25% di probabilità di trasmettere entrambi il gene mutato al figlio).

Negli esami che si fanno in gravidanza non è abituale (almeno in Italia) eseguire l’analisi genetica per vedere se la madre, o meglio la coppia di genitori, è portatrice di una mutazione CFTR nel suo DNA, come non si fanno di solito analisi per molte altre malattie genetiche più o meno rare. Sta crescendo peraltro la tendenza, specie fuori del nostro Paese, a proporre alle coppie uno screening cosiddetto “prenatale” quando la madre entra in gravidanza o è intenzionata ad accedervi. Ma questa è una tematica che richiederebbe qualche ulteriore approfondimento.

Le coppie di portatori sani accertati possono conoscere lo stato genetico del feto, relativamente alla FC, con l’analisi genetica su un prelievo di frammento di villo placentare alla 10a settimana di gravidanza (cosiddetta “diagnosi prenatale”).

 

G. M.


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