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9 Gennaio 2014

Perché l’impiego di modelli animali nella ricerca biomedica

Autore: Riccardo Danilo
Argomenti: Nuove terapie
Domanda

Salve, quanto è importante effettuare ricerca scientifica attraverso organismi complessi come quelli animali al fine di promuovere avanzamenti clinici per la cura della fibrosi cistica?

 

Risposta

La moderna ricerca scientifica mirata a conoscere i meccanismi attraverso cui il gene della fibrosi cistica determina le condizioni di malattia nei vari organi si avvale di numerose modalità. In parte è possibile studiare direttamente gli eventi fisiopatologici sull’uomo: valutando lo stato funzionale dei vari organi; esaminando sostanze presenti nel sangue e in altri liquidi biologici che documentino le condizioni di deviazione dal normale metabolismo; studiando cellule dell’organismo di più facile ottenimento (varie cellule del sangue, cellule epiteliali prelevate con brushing nasale, ed altro); facendo particolari accertamenti su tessuti ed organi prelevati a scopo terapeutico (ad esempio, i polmoni espiantati di soggetti sottoposti a trapianto polmonare). Ma questo spesso non basta perché non permette di conoscere come evolve fin dall’inizio la malattia e quali meccanismi vengono messi in moto precocemente: a questo ha sopperito negli ultimi anni il ricorso a modelli animali. I più adeguati per questa patologia si sono rivelati alcuni topi, i furetti e infine i maialini. Con tecniche di ingegneria genetica si è riusciti a far nascere alcuni di questi animali con la malattia fibrosi cistica. Questi animali ci hanno aiutato a capire quali sono gli eventi più precoci e significativi che condizionano lo stato di malattia e ci hanno illuminato sui bersagli più indicati per elaborare adeguati interventi terapeutici.

Ma il contributo più prezioso che gli animali hanno dato alla medicina e alla cura della fibrosi cistica in particolare è stata la possibilità di sperimentare su di loro, prima che sull’uomo, farmaci e strategie terapeutiche innovative. Non è possibile, senza affrontare rischi oggi non più accettabili, sperimentare direttamente sull’uomo molecole terapeutiche prodotte dalla ricerca di base o derivate da tradizioni empiriche. Si può così valutare preliminarmente l’assorbimento e il metabolismo di un farmaco per progettare modalità e dosaggi di somministrazione nell’uomo; soprattutto si possono ricavare le prime informazioni sia sull’efficacia desiderata sia sull’eventuale tossicità del farmaco e sui suoi effetti indesiderati. La maggior parte delle sostanze prodotte in laboratorio con scopi terapeutici non passano alla sperimentazione sull’uomo proprio perché la loro azione sugli animali ha presentato dei problemi o è risultata inefficace. Va detto comunque che non si procede a studi su animali se ricerche preliminari hanno mostrato qualche tossicità a livello di cellule: in tal senso si approccia l’animale già con buoni livelli di sicurezza per la sua integrità. Si dirà che gli animali possono avere caratteristiche metaboliche e farmacocinetiche diverse da quelle dell’uomo. Questo è vero solo in parte, perché in realtà vi è grande affinità tra il metabolismo dell’uomo e quello di molti animali vertebrati, e comunque ciò che succede nell’animale ci dà preziose informazioni sulla prudenza e sulle circostanze con cui affrontare eventualmente le sperimentazioni sull’uomo. Inoltre ciò che si viene a conoscere sull’animale integra ciò che siamo riusciti a conoscere prima, utilizzando cellule e tessuti umani. Il vero problema è che ogni intervento terapeutico, specie di natura farmacologica, deve cimentarsi alla fine con un organismo complesso, quale quello umano, in cui ogni azione deve fare i conti con molti organi tra loro connessi nella funzionalità e nella interazione fisiologica. L’animale ci aiuta ad avvicinarci a questo, anche se non risolve tutte le incognite che l’intervento terapeutico comporta. Tant’è vero che quando si è raggiunta sufficiente convinzione che un farmaco produca nell’animale gli effetti benefici desiderati e non determini in esso significativi effetti indesiderati, si passa con molta prudenza alla sperimentazione sull’uomo, incominciando con soggetti volontari sani e con dosaggi molto contenuti e via via incrementati, rimanendo però sempre entro livelli di sicurezza. Anche quando si passa alla sperimentazione nei malati volontari la prudenza e il rigore sono la regola e si basano su ciò che abbiamo imparato dalle cellule, dagli animali e dai volontari sani.

G. M.


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