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19 Ottobre 2018

Poco appetito e crescita rallentata

Autore: Veronica
Argomenti: Alimentazione, Crescita
Domanda

Mio figlio di 18 mesi pesa 11.400 g ed è alto 81 cm. Negli ultimi 6 mesi la sua crescita è un pó rallentata e si trova intorno al 25 percentile sia per il peso che per l’altezza. Da circa 6 mesi sono anche cambiate le sue abitudini alimentari: è diventato molto piú selettivo ed ha anche poco appetito. La mattina, per es., per colazione beve soltanto il latte (circa 200 ml) con 3 biscotti, qualsiasi altra cosa viene rifiutata. Mio figlio frequenta l’asilo e spesso non ama quello che gli viene proposto per pranzo, quindi oltre a una colazione poco abbondante spesso non riceve il giusto nutrimento neanche a pranzo. A merenda mangia volentieri frutta oppure crackers (purtroppo non ama nessun tipo di pane/focaccia) e a cena spesso si sazia velocemente. La mia preoccupazione è naturalmente che non cresca abbastanza e che non sia sufficientemente forte in previsione dell’inverno e dei possibili malanni (purtroppo ha già avuto diverse bronchiti ed è stato sottoposto piú volte a cura antibiotica). La nostra alimentazione è molto varia, cerchiamo di proporre sempre cose nuove e mio figlio non trova stimolo neanche nella sorella che mangia di tutto. Cosa potremmo fare per aiutarlo ad interessarsi di piú al cibo?

Risposta

Nel leggere la storia alimentare e di crescita del bambino viene da pensare  che sarebbe importante confrontare alcuni dati  con i medici che lo seguono, cercando in essi un confronto sui dubbi e sui timori.

Questo non perché dubbi e timori di una mamma che vede crescere poco il proprio figlio non siano comprensibili, ma perché ogni dato deve essere inserito nel processo di crescita globale del singolo bambino. Essere ad esempio al 25 centile è un dato oggettivo che dice la struttura del bambino ma che non deve allarmare in quanto tale se non rappresenta un trend in negativo della crescita. In sintesi, è maggiormente importante che costantemente cresca, rispetto a quanto cresce, così come può accadere che ci possano essere momenti in cui la crescita rallenta ma questo aspetto non diviene un problema se rimane transitorio.

Detto ciò e passando invece agli aspetti più strettamente psicologici, direi che un bambino di 18 mesi mentalmente sano deve iniziare, all’interno del suo sviluppo psicoemotivo e cognitivo, a differenziare i suoi gusti, la sua modalità di confronto con il cibo e le sue scelte. Non serve che mangi molto e molto variato, serve che mangi ciò che gli serve per la crescita, ciò che sceglie con serenità e che lo faccia con la voglia di gestire il proprio cibo. Se il bambino accetta un biberon di late con tre biscotti, qualora parlando con la dietista si ritenga che quella colazione non è sufficiente, si cercherà di rendere quella dose di cibo un pochino più calorica con alcuni consigli dietetici ma non si dovrà passare ad offrirgli un biberon zeppo di sette biscotti, perché sarà più denso e meno gradito dal bambino, che aveva scelto un’altra caratteristica di cibo e con buona probabilità lo rifiuterà. Allo stesso modo, se a merenda il bambino mangia i crackers non serve dispiacersi per il fatto che li preferisce a pane o focaccia, è il suo gusto, va rispettato, lui sta scegliendo, l’apporto calorico non cambia la sostanza neanche, carboidrati entrambi: perché dispiacersi?

Se noi cerchiamo di imporre i nostri gusti e desideri può essere che si mantenga e addirittura si crei un disagio del bambino verso il cibo.

Certo è chiaro che un bambino deve comunque alimentarsi in modo adeguato e crescere,  così come è vero che  la presenza della fibrosi cistica aumenta questo nodo di criticità perché spesso sull’alimentazione viene sollecitata una aspettativa alta. Il nucleo centrale di tutto questo è però proprio partire dal riconoscere che il bambino, ogni bambino, ha per fortuna il suo temperamento e le sue inclinazioni, perciò anche i suoi gusti. Forzarlo diversamente o rammaricarsi per queste sue caratteristiche vuol dire un po’ non riconoscerlo. Se è possibile, quindi,  deve essere allentata la tensione posta nel convincerlo e inserita l’energia per fargli assumere senza fatica la dieta adeguata e le calorie necessarie perché, benchè non ci siano evidenze scientifiche che i bambini di basso peso subiscano una malattia più aggressiva, sappiamo che qualche chilo di più ci lascia tranquilli della loro capacità di far fronte a eventuali momenti  di malattia.

In questo senso le energie convogliate sul modo in cui, partendo da cosa ci chiede, possiamo dargli qualche caloria in più sono quelle meglio spese.

Può essere utile sviluppare la sua autonomia nell’uso del cibo, facendolo assistere alla sua preparazione e commentando le singole azioni che facciamo mentre cuciniamo per poi, nel momento che si pone nel piatto il cibo cucinato insieme, poco cibo nel piatto mai il piatto pieno, ripercorrere  qualche caratteristica del cibo preparato. Stimolare la sua curiosità sui colori del cibo, inventando giochi con i colori del cibo e imparare a non offrirglielo mai più di una volta e mai una volta dietro l’altra ma dare a lui un tempo di elaborazione del proprio rapporto con quell’offerta. In una sequenza in cui si offre il cibo e al primo rifiuto non si insiste ma si sta un pochino fermi con il cibo sul cucchiaio e poi quando il bambino riporta l’attenzione al contesto si riprova o si offre direttamente a lui il cucchiaio perché se lo porti alla bocca.

Cosa fare per aumentare l’interesse del bambino al cibo? Questo è strettamente legato a quanto l’adulto si aspetta che esso ne abbia interesse, molti bambini con o senza fibrosi cistica sono assolutamente disinteressati al cibo e le mamme, tutte, si preoccupano. Quando esse riescono a comprendere che non esistono molte possibilità e che l’unica via percorribile è quella di  rispettare questo scarso interesse del bambino verso il cibo, senza pensare di dover riuscire a far sì che esso abdichi e mangi  molto e volentieri, si può veramente acquistare una nuova tranquillità al momento dei pasti, attraverso un cambio di registro e di ruolo in cui si allentano la delusione e il dispiacere.

Si raggiunge ciò anche attraverso  qualche stratagemma, come se il cibo fosse lì per caso o per fare altro, non come qualcosa che ad ogni costo deve essere mangiato. Si può lasciare il bambino qualche volta in autonomia, apparentemente da solo o che lui così percepisca, con il piatto si può aiutare a farlo sentire meno pressato a dare risposte e quindi più disposto a interessarsi ad esempio ad assaggiare. In questi momenti, che non sono codificati come pasto, non offritegli mai, lasciate appoggiati pezzi di cibo senza commenti e così sporadicamente buttate lì qualche frase che attivi emozione “questo ha i buchini, oh questo è rosso, rosso come il tuo cappello”. La fantasia della mamma è infinita ma la soluzione è solo una, allentare il nostro desiderio e aspettativa e guardare il modo in cui il nostro bambino gestisce il suo cibo

Se si allenta questa dinamica poi lui inizierà a mangiare un po’ di più.

Dr. Paola Catastini, psicologa presso il Centro Fibrosi Cistica, Osped. Meyer, Firenze


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