Ci sono vari protocolli impiegati per lo screening neonatale della fibrosi cistica, ma i principali sono due. Fatto il test di base della tripsina immunoreattiva (test IRT) su goccia di sangue del neonato essicato su cartoncino, se il risultato è positivo (valori di IRT sopra la soglia considerata di normalità) un primo protocollo prevede che il bambino venga richiamato dopo un mese per ripetere il test e solo se questo si conferma positivo si passa al test del sudore (ed eventualmente a test genetico) per la conferma o l'esclusione di diagnosi; il secondo protocollo prevede invece che, a seguito del test IRT positivo, si faccia subito sulla stessa goccia di sangue secco prelevata al 3° giorno di vita, il test genetico. La presenza di almeno una mutazione del gene della fibrosi cistica (gene CFTR) pone il sospetto fondato di diagnosi FC e si passa al test del sudore, ed eventualmente ad approfondimenti del test genetico con indagine di 2° livello: comunque la presenza di una coppia di mutazioni del gene CFTR è di per sè diagnostica.
Il protocollo che prevede immediata analisi genetica dopo IRT positivo ha l'enorme vantaggio di risparmiare alla maggior parte delle famiglie un falso allarme, con il richiamo per il secondo test IRT, per i casi che hanno avuto un risultato falso positivo del primo test IRT. Si sa infatti che il test IRT può risultare falsamente positivo in un alto numero di neonati (6-10 falsamente positivi, a seconda delle soglie IRT adottate, per un caso veramente positivo). Questa peraltro è una caratteristica di tutti i test cosiddetti di screening ed oggi si cerca di selezionare i casi con maggiore probabilità di essere veri positivi con test accessori, com'è il caso del test genetico per la fibrosi cistica. Il metodo con analisi genetica precoce ha anche il vantaggio di concludere molto presto la diagnosi e passare quindi molto precocemente alle cure. Naturalmente, qui gioca l'organizzazione e la gestione dei tempi brevi nei centri di screening.