A questa domanda purtroppo non si può dare una risposta su basi scientifiche, perché le prove raccolte dicono che il clima è uno dei fattori influenti sull'evoluzione della malattia, ma non dicono fino a che punto è decisivo. Quindi bisognerebbe poter fare un bilancio realistico, condiviso con gli altri membri della famiglia e capire se una scelta radicale è giustificata, perché si tratterebbe di un bilancio in cui ci sono dei fattori "pro" e dei fattori "contro". Per esempio, quanto peserebbe ai figli stessi lasciare l'ambiente "sociale" (la scuola, le amicizie, i luoghi di ritrovo ecc.) in cui adesso sono inseriti? Quanto peserebbe ai genitori magari dover contare solo su se stessi e non sulla rete allargata dei familiari (nonni e altri), di cui forse godono nella città in cui adesso risiedono? Sono solo due domande "campione", ogni genitore può trovarne altre che nascono dalla propria particolare situazione. Essere realisti vuol dire anche tenere presente che durante il soggiorno al mare oltre al clima c'è la serenità dell'essere in vacanza, ci sono ritmi di vita diversi. Certo un clima favorevole induce a passare più tempo all'aria aperta e a muoversi; ma lo stesso poi dopo i tre mesi inizierebbero le scuole, con l'affollamento dei bambini nelle aule e la concentrazione di virus e batteri tipici del periodo autunno-inverno.
In sostanza, crediamo che alla domanda posta non ci sia una risposta che va bene per tutte le famiglie e per tutti i casi; crediamo anche, ma è un parere personale e discutibile, che le scelte "radicali" abbiano dei costi, che è difficile prevedere quanto sostenibili e ripaganti. E ci chiediamo se alla lunga non sia più ragionevole cercare di integrare le esigenze poste dalla malattia (fare sport, adottare un certo stile di vita e così via) nella realtà in cui si è inseriti, con gli aggiustamenti del caso: per esempio l'aggiustamento già adottato, che consiste nello stare il più possibile in vacanza in un posto climaticamente favorevole, è un ottimo esempio di integrazione.