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La fibrosi cistica non è più una malattia pediatrica

4 Agosto 2017
Autore: Dott. Natalia Cirilli, Centro Regionale Fibrosi Cistica delle Marche, Ancona

È cambiata l’età della maggior parte dei malati FC, è cambiata la malattia: un panorama epidemiologico aggiornato.

Diversi fattori nel tempo hanno contribuito ad aumentare le aspettative di vita dei soggetti affetti da fibrosi cistica (FC). Già ora, in un grande numero dei centri di cura, si registra una percentuale di pazienti adulti intorno od oltre il 50%; e con l’arrivo delle nuove terapie ci si aspetta un costante aumento dell’età media dell’intera popolazione dei malati.

Le principali fonti di dati per studiare l’andamento di una malattia cronica sono costituite dai registri di malattia, strumenti fondamentali per individuare e comprendere, oltre ai cambiamenti demografici, anche i fattori che possono determinarli. Esistono registri nazionali e sovranazionali (es: registro europeo, registro nordamericano) e negli ultimi anni si è fatto lo sforzo di fornirli di dati sempre più solidi e soprattutto confrontabili tra loro, cosa che passa attraverso l’utilizzo di una stessa definizione delle variabili di malattia in causa (es: FEV1, diagnosi, complicanze). In questa rassegna viene fornito un panorama aggiornato basato su report di registri-malattia e studi epidemiologici recenti (1).

Il numero complessivo di soggetti affetti da FC è probabilmente sottovalutato a livello mondiale per l’elevata mortalità neonatale e infantile nei paesi del terzo e quarto mondo, dove la malattia rimane senza diagnosi, per questo la stima che circa 70.000 soggetti globalmente siano affetti da FC, come spesso si trova scritto, è probabilmente assai più bassa del numero reale (2).
Il registro francese e canadese mostrano nel periodo che va dagli anni ‘90 a oggi un aumento costante della popolazione adulta, che deriva in minima parte da soggetti diagnosticati in età adulta (dato in aumento nell’ultima decade) e in massima parte da soggetti diagnosticati in età neonatale o pediatrica divenuti adulti.
Il registro nordamericano ci dice che negli anni ’60 i bambini non superavano i 5 anni di vita; negli anni ’90 l’età mediana (da non confondere con l’attesa media o mediana di vita) era di 12,5 anni (con circa il 33% di soggetti adulti); oggi l’età mediana si aggira intorno ai 20 anni e la percentuale di soggetti adulti si attesta nei paesi occidentali stabilmente intorno al 50% della popolazione complessiva (3).
In 16 nazioni europee si stima che la popolazione adulta entro il 2012 costituirà circa il 75% degli assistiti nei centri di cura. L’andamento risulta simile in entrambi i sessi ed è suffragato da studi che, sia nei pazienti con andamento severo sia in generale in tutta la popolazione FC, indicano un decremento costante del tasso di mortalità calcolato su base annua.

Gli studi compiuti dimostrano che l’incremento nell’aspettativa di vita è dovuto a diversi fattori: la possibilità di diagnosi precoce (indotta dallo screening neonatale e altri interventi come la diagnosi prenatale e lo screening del portatore); l’approccio multidisciplinare e multi professionale ai sintomi della malattia; il supporto nutrizionale aggressivo; l’avvento di nuove terapie croniche inalanti; l’uso di protocolli di eradicazione dello Pseudomonas; l’accesso al trapianto polmonare in caso di insufficienza respiratoria irreversibile. Il recente avvento di correttori, potenziatori, amplificatori del gene e della proteina assente o non funzionante fa intravedere un ulteriore incremento dell’età mediana. Per contro, sono stati svolti anche studi sui fattori associati a una progressione più grave della malattia: risultano avere peso la presenza di mutazioni severe, la comparsa precoce di sintomi importanti, uno scadente stato nutrizionale, il tipo di batteri presenti nei bronchi, il diabete, l’elevata frequenza delle esacerbazioni polmonari. Inoltre, risulta svantaggioso il non essere in carico a un centro specializzato in FC e un basso stato socio-economico.

Il primo studio in cui sono stati messi a confronto i dati di due diversi centri di cura, Toronto (Canada) e Boston (USA), ha rilevato che i pazienti seguiti a Toronto vivevano mediamente 9 anni in più negli anni ’70-’80 rispetto a quelli seguiti nel centro di Boston. Le ragioni di tale differenza sono state principalmente attribuite al tipo di approccio nutrizionale, che è stato, alla fine degli anni ’70, basato su un’alimentazione libera e ipercalorica a Toronto, mentre era controllata in senso ipolipidico a Boston. Lo stesso studio, ripetuto a distanza di circa 30 anni (e con raggiunta omogeneità di intervento nutrizionale fra i due centri), ha confermato una differenza di 10 anni ancora a favore dei canadesi. Le ragioni di tale differenza sembrano imputabili a due fattori che vanno a loro vantaggio: la presenza di un servizio sanitario di tipo pubblico e un maggior ricorso al trapianto polmonare (4).

Molto interessanti anche gli studi sui soggetti longevi con FC. Uno studio inglese ha dimostrato che oggi è cambiata l’attesa di vita anche in malati con grave impegno respiratorio: il 50% dei pazienti con FEV1 <30% del predetto oggi vivono più a lungo che in passato. Ma bisogna anche ammettere che alcuni studi indicano che i pazienti diagnosticati in età pediatrica hanno un’attesa di vita inferiore a quelli diagnosticati in età adulta, il che vuol dire in sostanza che ancora oggi quelli che vivono più a lungo sono i pazienti affetti sostanzialmente da forme più lievi di malattia (5).
Riguardo la differenza tra i due sessi, alcuni studi attestano che le femmine avrebbero una sopravvivenza ridotta rispetto ai maschi, differenza che si rileva nella popolazione fino a 20 anni, e in seguito scompare (6). Possibili spiegazioni possono risiedere nella più precoce colonizzazione con batteri come Pseudomonas o Burkholderia cepacia o alla comparsa di diabete che, se associato con FEV1 <50% ridurrebbe di 5 volte (2 volte nei maschi) l’aspettativa di vita nelle femmine. Potrebbero influire anche i diversi stimoli di tipo ormonale, che nel sesso femminile favorirebbero un maggior stato infiammatorio o una diagnosi più tardiva. Studi più recenti sullo stesso tema sembrano indicare che questa differenza tra i due generi stia scomparendo (7-10).
Due studi, uno americano e uno inglese, attestano che lo stato socio-economico (SSE) di un paziente influenza pesantemente l’andamento di malattia: in entrambi i paesi i pazienti con basso SSE hanno un’aspettativa di vita molto inferiore rispetto a quelli con alto SSE: queste disparità sono più marcate nei paesi con assistenza sanitaria di tipo privato o fortemente vincolata a polizze assicurative (10-11), come negli USA. Un solo studio negli USA ha confrontato la durata della vita dei malati di razza bianca rispetto a quelli di razza ispanica: la prima ha una mortalità annua del 3,3%, la seconda del 9,1%.
Infine, migliorano anche i dati della sopravvivenza dopo trapianto di polmone: il 50% dei pazienti trapiantati è in vita dopo 10 anni in Canada (mentre prima gli studi indicavano 7-8 anni). Il dato problematico è che la sopravvivenza dei pazienti colonizzati con Burkholderia cepacia è molto più bassa: questo giustificherebbe la scelta, pur discutibile, di alcuni centri trapianto anche in Italia di non trapiantare i pazienti colonizzati con questo germe. Da notare che studi sui pazienti trapiantati sono difficili con i dati dei registri dei malati perché spesso dopo il trapianto vengono seguiti nei centri trapianto e risultano quindi persi al follow-up nei centri di cura FC.

In conclusione, è evidente che nei prossimi anni lo scenario riguardante la malattia FC nei suoi vari aspetti cambierà radicalmente, anzi è già cambiato. Gli adulti con FC hanno una malattia differente da quella dei soggetti pediatrici, malattia destinata ulteriormente a cambiare con l’avvento di nuovi farmaci. Questo risultato richiede un adeguamento del mondo clinico e dei servizi sanitari per far fronte alle nuove pressanti esigenze.

1) Stephenson AL, Stanojevic S, Sykes J, Burgel PR. The changing epidemiology and demography of cystic fibrosis. Presse Med. 2017 Jun;46(6 Pt 2):e87-e95
2) ECFSPR Annual Report 2014, Zolin A, McKone EF, van Rens J et al.
Cystic Fibrosis Foundation Patient Registry 2015 Annual Data Report Bethesda, Maryland ©2016 Cystic Fibrosis Foundation
3) George PM, Banya W, Pareek N, Bilton D, Cullinan P, Hodson ME, et al. Improved survival at low lung function in cystic fibrosis: cohort study from 1990 to 2007. BMJ (Clin Res Ed) 2011;342:d1008
4) Stephenson AL, Sykes J, Stanojevic S, et al. Survival Comparison of Patients With Cystic Fibrosis in Canada and the United States: A Population-Based Cohort Study. Ann Intern Med. 2017 Apr 18;166(8):537-546
5) Nick JA, Chacon CS, Brayshaw SJ, Jones MC, Barboa CM, et al. Effects of gender and age at diagnosis on disease progression in long-term survivors of cystic fibrosis. Am J Respir Crit Care Med 2010;182:614–26
6) Viviani L, Bossi A, Assael BM. Absence of a gender gap in survival. An analysis of the Italian registry for cystic fibrosis in the paediatric age. J Cyst Fibros 2011;10:313–7
7) Moran A, Dunitz J, Nathan B, Saeed A, Holme B, Thomas W. Cystic fibrosis-related diabetes: current trends in prevalence, incidence, and mortality. Diabetes care 2009;32: 1626–31
8) Fogarty AW, Britton J, Clayton A, Smyth AR.Are measures of body habitus associated with mortality in cystic fibrosis? Chest 2012;142:712
9)Nick JA, Chacon CS, Brayshaw SJ, Jones MC, Barboa CM, et al. Effects of gender and age at diagnosis on disease progression in long-term survivors of cystic fibrosis. Am J Respir Crit Care Med 2010;182:614–26
10) Schechter MS, Shelton BJ, Margolis PA, Fitzsimmons SC. The association of socioe- conomic status with outcomes in cystic fibrosis patients in the United States. Am J Respir Crit Care Med 2001;163:1331
11) Barr HL, Britton J, Smyth AR, Fogarty AW. Association between socioeconomic status, sex, and age at death from cystic fibrosis in England and Wales (1959 to 2008): cross- sectional study. BMJ (Clin Res Ed) 2011;343:d4662