Sei in Home . Informati . Commenti degli esperti . Commento al film “A un metro da te”

Commento al film “A un metro da te”

15 Aprile 2019
Autore: Direzione Scientifica Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica

Un film commovente a cui va aggiunta quella concreta speranza che la ricerca scientifica sta trasformando in realtà.

Questo film è realizzato con un realismo spinto, che colpisce come un pugno allo stomaco chi non ha mai sentito parlare della fibrosi cistica, ma non lascia certo indifferente anche chi già la conosce. La malattia invade la vita dei protagonisti. Sembra che la loro vita sia stata vissuta solo in ospedale, con i tempi scanditi dall’assunzione dei farmaci, dalla fisioterapia, dall’ossigenoterapia, dalla cura delle complicanze. La vita vera è fuori, vissuta dagli altri, loro, i malati, la vivono solo di riflesso, attraverso l’uso pervasivo dei cellulari e di tutti i dispositivi che apparentemente sembrano abbattere ogni barriera con il mondo esterno. Con gli amici e i parenti sani fuori dall’ospedale le persone malate hanno in comune tutto: il linguaggio, l’abbigliamento, i sentimenti, le emozioni, i desideri.

Il film racconta l’innamoramento nato tra un ragazzo e una ragazza, ricoverati nello stesso ospedale, che, a causa della malattia, rimane solo virtuale, assolutamente privo di contatto fisico. Will, il protagonista maschile è portatore di un batterio molto aggressivo; una condizione che tra l’altro gli impedisce di accedere al trapianto polmonare. E’ arrabbiato e il suo comportamento non è per nulla aderente alle prescrizioni mediche. Stella, il personaggio femminile, al contrario, trova nell’applicazione ossessiva delle cure un controllo razionale della paura e affronta razionalmente anche l’impossibilità di non poter toccare, abbracciare il suo ragazzo perché, se lo facesse, rischierebbe di prendere il suo batterio. Così inventa una personale e più permissiva versione delle linee guida in materia di prevenzione di infezioni tra malati di FC, accorciando la distanza raccomandata da due metri a uno. Sarà un evento insopportabile, la morte di un amico anche lui malato, a stravolgere la razionalità che fino a quel momento aveva accompagnato Stella. L’unica via di scampo da questo dolore è un atto di ribellione: una fuga dall’ospedale, contro il loro destino e contro tutti. Sarà l’amore di lui che la salverà (non diciamo come).

A contorno della storia d’amore ci sono i rituali sanitari dell’ospedale americano in cui sono ricoverati, apparentemente molto efficienti, e le modalità comunicative molto dirette e pragmaticamente orientate del personale sanitario. Ma non è tutto oro quello che luccica. I protagonisti sanno bene che la vita fuori dall’ambiente ospedaliero, passati i 18 anni, li esporrà al rischio di non poter affrontare le spese per le cure, dal momento che negli Stati Uniti non esiste un sistema sanitario pubblico. Ne parlano e si chiedono: su chi possiamo contare? Che tipo di vita attendersi, se mai ce ne sarà una?

Il regista di questo film e gli attori stessi sono stati supportati da ottimi consulenti che hanno saputo raccontare in maniera precisa la malattia e la vita di un malato FC. Riteniamo tuttavia opportuno ripetere che, per il verismo delle scene e dei dialoghi, il film fa conoscere la malattia con una modalità volutamente d’impatto sulla gente comune, che può indurre interesse e generosità nei confronti della causa. Ma il film non può essere solamente visto come un’operazione “di cassetta”. Al contrario, andrebbe accompagnato da un indispensabile messaggio di speranza dato dalla ricerca, elevandolo dalla condizione di pellicola meramente strappalacrime.

Commentiamo di seguito alcuni spunti di ordine scientifico che il film suggerisce e che sono a supporto del messaggio di speranza dato dalla ricerca.
Innanzitutto, andrebbe ricordato che i giovani protagonisti del film non avrebbero raggiunto l’età adulta senza gli avanzamenti della ricerca biomedica degli ultimi 20-30 anni. Nei Paesi che godono di una buona organizzazione del sistema di cure in fibrosi cistica e di un servizio sanitario pubblico, e non basato su assicurazioni private come negli USA, i malati vivono più a lungo di quanto il film lascia intendere. Nei prossimi anni la durata e la qualità della vita saranno sensibilmente migliorati dall’introduzione nella pratica clinica dei nuovi farmaci chiamati “farmaci modifica-malattia” che per la prima volta curano il difetto di base della malattia: la proteina CFTR difettosa. Sono farmaci che avranno indicazioni diverse a seconda del tipo di mutazioni che i malati presentano. E’ vero che ad oggi non tutte le mutazioni possono essere considerate trattabili farmacologicamente, ma la ricerca ha ben presente la necessità di non lasciare indietro nessuno e sta mettendo a punto altre strategie con forti investimenti da parte di gruppi di ricerca europei e americani.
Questa Fondazione, attraverso la rete di ricerca creata in Italia, sta contribuendo in vari ambiti a sensibili progressi della ricerca biomedica. I progetti di ricerca FFC hanno conseguito un notevole patrimonio di nuove conoscenze che nei prossimi anni potrà essere trasferito al letto del malato, sia nel campo dei farmaci modifica-malattia (vedi il progetto strategico Task Force for Cystic Fibrosis, già in avanzata fase preclinica, ma anche altri) che in quello di nuovi antinfiammatori e nuovi antibatterici. Per esempio, per il batterio Burkholderia cenocepacia, menzionato nel film come B. cepacia, sono in sperimentazione nuove molecole antibiotiche: finora è stato inattaccabile, ma la ricerca si sta intensamente occupando del problema e anche FFC ha finanziato un progetto a questo riguardo, di cui sono aperti gli sviluppi. E sempre contro il batterio B. cepacia in ambito clinico sono già stati sperimentati su piccolo numero di malati nuovi protocolli che sembrano efficaci, perché basati su una politerapia antibiotica molto aggressiva, somministrata anche se il batterio risulta resistente nelle prove di laboratorio. Inoltre, oggi non tutti i centri di trapianto ritengono la condizione di portatore di B. cepacia, come di altri batteri poliresistenti, una controindicazione assoluta al trapianto polmonare, come nel film viene indicato: gli studi dicono in realtà che i soggetti con questi batteri hanno un peggior esito del trapianto solo se arrivano al trapianto in peggiori condizioni cliniche, e non per la presenza del batterio stesso. Di qui, la possibilità che in futuro questa sia considerata una controindicazione relativa e non assoluta.

Ritornando quindi al film, ci auguriamo che rimanga nei ricordi di chi l’ha visto per descrivere l’epoca in cui la fibrosi cistica “era cosi”. La ricerca ha da tempo aperto un nuovo futuro per i bambini, i ragazzi e gli adulti con questa malattia. Non è ancora arrivato il tempo per dire “avevo la fibrosi cistica”, ma nei prossimi anni ci saranno certamente meno sintomi, meno ricadute, meno complicanze, meno necessità di farmaci e di ricoveri. Sarà una malattia diversa, che permetterà una vita più lunga e probabilmente assai migliore di quella che il film racconta.