Seguendo il carattere di questa rubrica, che ha lo scopo di fornire informazioni di utilità generale e non consulenze su quadri clinici specifici, possiamo commentare che la terapia con inibitori di pompa protonica (PPI), come l’omeprazolo, può in effetti essere somministrata anche per lunghi periodi e anche per tutta la vita. Infatti, le linee-guida per il trattamento del reflusso gastroesofageo, una complicanza presente anche nella fibrosi cistica (FC), prevedono un trattamento prolungato quando il quadro clinico è moderato-severo, documentato da una esofago-gastro-duodenoscopia e dal monitoraggio del pH intestinale (qui e qui alcuni studi scientifici di approfondimento). Se la sintomatologia è lieve e scompare dopo un trattamento di 4-8 settimane con farmaci PPI, questi ultimi possono essere sospesi ed eventualmente ripresi al bisogno. Vi sono altre indicazioni cliniche per un trattamento prolungato con PPI, tra cui l’esofagite da eosinofili, l’esofago di Barrett, le malattie interstiziali del polmone.
Nel caso della fibrosi cistica, come già detto, la sintomatologia da reflusso gastroesofageo e i sintomi riferibili allo stomaco, come bruciore, gonfiore, dolorabilità, sono abbastanza comuni e giustificano l’uso dei farmaci PPI. C’è poi un’altra condizione che interessa le persone con fibrosi cistica e può condurre all’uso prolungato di farmaci PPI, l’insufficienza pancreatica. L’insufficienza pancreatica si può associare a disturbi dello svuotamento gastrico e a iperacidità gastrica, che ostacolano il funzionamento degli enzimi pancreatici assunti ai pasti per digerire gli alimenti. I farmaci PPI bloccano la produzione di acido e il loro uso è stato documentato migliorare la digestione del cibo (qui uno studio scientifico in proposito).
Nel caso l’inserimento dei modulatori abbia migliorato la digestione del cibo o nel caso di assenza di sintomi riferibili al tratto gastroenterico si deve provare a ridurre la dose e poi a sospendere i PPI, pronti a riprenderli nel caso la sintomatologia riprenda o che persistano problemi di maldigestione. Questo comportamento pratico è anche giustificato dalla necessità di semplificare la terapia cronica nella FC.
Il Deursil è un farmaco a base di acido ursodesossicolico (UDCA), sale biliare deficitario nella fibrosi cistica, ampiamente usato per trattare la malattia del fegato nella fibrosi cistica e prevenirne l’evoluzione in cirrosi ed ipertensione portale. Questo farmaco viene precocemente introdotto nella terapia specie quando dagli esami ematici emerge un’innalzamento degli enzimi epatici (qui un approfondimento scientifico).
L’interesse per questo farmaco è stato sempre elevato, specie nei Paesi europei, non essendoci altri farmaci per la malattia del fegato nella FC. Non disponiamo peraltro di forti evidenze per un suo uso preventivo della malattia epatica moderata-grave, né per il suo trattamento.
Nel corso della terapia con i nuovi modulatori, può verificarsi un innalzamento degli enzimi epatici: nel caso l’innalzamento sia rilevante, le raccomandazioni dell’azienda Vertex (produttrice dei modulatori) non suggeriscono l’uso di UDCA ma di sospendere il modulatore e/o ridurne il dosaggio. In assenza di un orientamento basato sulle evidenze, un comportamento pratico può essere quello di sospendere l’UDCA in età adulta (la malattia epatica con cirrosi si sviluppa in genere durante l’adolescenza) e in assenza di evidenze di cirrosi epatica con o senza ipertensione portale.