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Aurora

Mi chiamo Aurora, la fibrosi cistica fa parte di me, ma io non sono la mia malattia, né posso arrendermi all’idea che sarò malata per sempre: credo che l’uomo possa tutto e ognuno di noi possa qualcosa.

La malattia è un mio percorso personale. È lei ad avermi sottoposto a tante esperienze, che nella crescita di un bambino segnano e provano. Il fatto di avere una malattia cronica è molto negativo: sei guardato in modo diverso dalle persone sane e cresci più in fretta. Impari che devi vivere al massimo: se la fibrosi cistica diventa la giustificazione a quello che non fai, hai già perso.

Proiettata nella realtà cruda della malattia, a lungo non ho vissuto la vita. Vedevo i difetti delle persone e nelle cose prima che i pregi; di negativo in negativo ho smesso d’interessarmi agli altri; sono diventata apatica, chiusa, infelice, e ho finito per sentirmi inadeguata in ogni situazione. Pensavo di avere ragione e la cosa più difficile da ammettere è di avere torto.

Quando vai in ospedale le persone che incontri sono spesso arrese alla malattia. Non ti guardano nemmeno in faccia quando esci in corridoio. Durante le degenze stai tutto il giorno a letto perché sei attaccato alla flebo. Se esci, è per poco. Non sai quello che succede fuori: il ricovero è un tempo di sospensione dalla vita, che altera la percezione della realtà. Non pensavo che le cose cambiassero in poco tempo e ho dovuto impararlo: mentre ero in ospedale i miei amici facevano esperienze che a me restavano precluse. Così io mi perdevo l’intesa, la vicinanza, la complicità con i miei coetanei.

Ora che ho iniziato a credere in me stessa e negli altri, non vedo la negatività delle persone intorno e faccio il possibile per riappropriarmi del tempo, anche di quello perduto. Credere nella ricerca scientifica è uno dei modi per guadagnare tempo e non arrendermi alla malattia. L’uomo è in grado di fare qualsiasi cosa. Essere certa che prima o poi ci si sarà una cura e che è solo questione di tempo, significa per me credere di potere un giorno vivere una vita normale, a partire dalle piccole cose.

Io non riesco a stare appresso ai miei compagni se camminano velocemente. Devo chiedere di rallentare. La ricerca è per me la speranza concreta di un domani in cui potrò tenere il passo di chi mi cammina a fianco. Per questo vi chiedo di sostenere la Fondazione, facendole dono del vostro cinque per mille. Per cominciare a fare qualcosa basta poco. Il resto verrà da sé.

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