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Chi ha affrontato esperienze come la mia non può lasciare gli altri da soli

La storia di Giulia

Giulia è una di quelli arrivati al bivio che porta all’ultima spiaggia, al trapianto. Poi, all’ultimo momento, la soluzione è arrivata: per lei c’era un farmaco che prometteva di riportarle il respiro che ormai non arrivava più, bloccato da 34 anni di fibrosi cistica che hanno scavato senza sosta e senza pietà nei suoi polmoni.

Certo, la sua vita non è passata in attesa di questo momento e nel frattempo ha trovato la forza di far nascere due gemelle e anche di viaggiare in giro per il mondo. Ma sempre con una zavorra che la tirava indietro e difficoltà che avrebbero scoraggiato i più.
Ma la particolarità della sua storia non si ferma qui. È vero, adesso c’è quella pillola magica che le ha permesso di alzarsi dal letto, di camminare senza aiuto, senza essere seguita a ogni passo da una selva di tubicini. E poi di ridere, “senza correre in bagno a rimettere”, di ripartire per un viaggio, di tornare padrona della propria vita. Ma subito dopo il sollievo spunta il pensiero per gli altri che sono rimasti fuori e, per Giulia, la decisione di “non fregarsene di loro” e di “restare nella squadra”. 

Come può descrivere il momento in cui ha capito che poteva rientrare nel trattamento con i nuovi farmaci?

“Quando mi hanno detto che potevo fare la domanda per uso compassionevole ero davvero al fondo del mio cammino, con due polmoni gravemente danneggiati, e da tre anni in attesa di trapianto. Contavo la mia prospettiva di vita non in anni ma in mesi e ormai non pensavo più che una pillola avrebbe potuto salvarmi”.

Invece?

Giulia prima di iniziare a prendere il farmaco

“Avevo provato un altro farmaco in precedenza. Ci avevo sperato ma era stata una brutta batosta. Per questo non ero disposta a insistere con le speranze. Ero molto scettica ma Kaftrio ha cambiato tutto, una rivoluzione. Ho capito subito che funzionava: ho tossito per giorni in modo estenuante ma un po’ alla volta i polmoni si sono puliti, il macigno che mi schiacciava il petto è sparito e ho riso senza farmi squassare dalla tosse”.

Quando ha avuto tra le mani la nuova pillola, ha pensato a chi restava fuori, amici ancora in
attesa di una soluzione?

“Il pensiero di chi restava fuori c’è stato fino dal primo momento. Ho molte amiche che, per il loro tipo di mutazione, sono escluse. Siamo molto legate e all’inizio ho avuto lo scrupolo di non dire niente per non farle stare peggio. Poi mi sono ricordata di quando altri avevano ricevuto i polmoni che io tanto aspettavo: non reagivo con invidia ma pensando allora si può fare!”.

La scelta di continuare a sostenere la ricerca a favore di chi è rimasto escluso dalla cura non è
scontata: istintiva può essere la fuga da un incubo, non pensarci più, svoltare, cominciare una
nuova vita e basta, per recuperare il tempo perduto. Lei come si pone?

Una foto con il panettone solidale FFC Ricerca

“Io sono ancora immersa nella FC e non mi è mai venuto in mente di smettere, di non dare più il mio contributo nelle Campagne o sui social. Voglio farlo per gli altri che non hanno ancora una cura e anche per me: non ho la presunzione di avere battuto la FC, la conosco troppo bene e i danni che ho subito fino ad oggi sono molto seri. Chi ha affrontato esperienze come la mia non può lasciare indietro nessuno, né girarsi dall’altra parte e andare avanti da solo per la sua strada. Per me è impossibile”.

Molto spesso si dice che la continuità e il successo della ricerca dipendano dall’impegno dei
singoli. Accetta questa affermazione?

Una candela accesa ne accende altre mille, si dice. Ma se tutti restano fermi non accendono nulla, non creano nessuna onda, nessun cambiamento. Le persone singolarmente, piccoli numeri sommati ad altri numeri, possono cambiare le cose… e la FC è una malattia troppo dura per essere affrontata da soli”.

 

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