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Federico S.

Sono Federico, ho 20 anni, mi occupo di aggiustare pc e dispositivi elettronici. Mi piacerebbe sapere riparare anche il gene che provoca la malattia con cui sono nato: la fibrosi cistica.

Convivo con la fibrosi cistica da quando sono nato. I miei genitori sono stati il sostegno più grande nell’affrontare la malattia: si sono premurati di curarmi finché non sono stato in grado di farlo da solo. A scuola sono stato fortunato: non ho mai avuto difficoltà nè con i compagni, che mi hanno accettato per quello che ero, né con i professori, che hanno capito la mia situazione, rendendomi meno pesante la necessità delle visite in ospedale, dei ricoveri, delle continue cure. Gli amici mi aiutano a superare i momenti difficili. Ai ricoveri, che normalmente durano un paio di settimane, vengono a trovarmi a sorpresa, perché sanno che mi fa piacere averli intorno e preferisco la compagnia alla solitudine.

Non solo la solidarietà e l’amicizia mi sono d’aiuto, ma anche lo sport. Rappresenta un piacere e una terapia. Prima di trovare quello che faceva per me ne ho provati tanti, soprattutto il calcio e il nuoto, e ne sono passati di anni prima di accorgermi che era più il tempo in cui ero ammalato di quello in cui giocavo. Poi ho scoperto il tennis, il mio sport. Una passione, ma anche una cura, perché praticandolo i miei polmoni hanno iniziato a stare meglio, ho iniziato a prendere meno antibiotici e i ricoveri si sono fatti più radi. Oggi il tennis fa parte della mia vita: mi fa stare meglio.

A cambiarmi la vita, però, è stato l’amore. Lei è diversa dalle altre perché è rimasta. Prima di lei, in molte, non hanno accettato la mia condizione. Mi affezionavo e sparivano. Lei no. Da undici mesi è la mia ragazza. Sono felice di averla incontrata. Con lei ogni giorno è migliore. Inizialmente non è stato facile riuscire a parlare della mia malattia, non sapevo come avrebbe reagito. I primi mesi mi ha fatto molte domande, ora mi aiuta addirittura a prepararmi le terapie.

La fibrosi cistica è ancora pochissimo conosciuta. Più persone sanno meglio è, perché si tratta di una malattia grave, che impone cure continue. Io ho imparato a conviverci e a lasciarle il minor campo d’azione possibile, ma so che la mia voglia di stare bene non basta. Donare il cinque per mille è un gesto d’amore, un gesto altruista, un gesto che fa stare meglio chi lo fa e chi lo riceve. Abbiamo bisogno di ognuno di voi perché il sostegno alla ricerca porti nuove conoscenze e una cura definitiva, che ancora manca.

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