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Giulia

Ho due sorelle maggiori sane. Io sono malata. Sono l’esempio di come la fibrosi cistica si manifesti inaspettatamente, anche in famiglie prive di casi di malattia nel proprio albero genealogico.

Mi chiamo Giulia, ho 23 anni, vengo da Benevento, ma vivo a Campobasso, dove studio economia aziendale all’università. La mia passione è andare ai concerti in ogni parte d’Italia: adoro la musica, in particolare quella rock, e colleziono magliette di band e cantanti. Vivo da sola, vado all’università, viaggio, nonostante questa malattia non si faccia mai dimenticare, per le cure quotidiane che richiede anche quando ti senti bene, figurati quando, per la maggior parte del tempo, ti senti la febbre, un po’ debilitata, e devi fronteggiare le infezioni polmonari.

Prima di incontrare il mio fidanzato, oramai più di tre anni fa, avevo vergogna di raccontare agli altri la mia malattia. Non ne parlavo quasi mai. Lo sapevano solo gli amici più stretti. Avevo paura che andassero a leggere cosa fosse, di essere giudicata. Non volevo suscitare pena. Ma ho imparato che è meglio dirlo. Non bisogna vergognarsi di essere nati con la fibrosi cistica, anzi, è necessario darsi da fare perché la gente sappia cos’è. Da quando cerco di spiegarlo sento le persone più vicine. Credo che l’aiuto degli altri sia importantissimo. Avere iniziato a raccogliere fondi per la Fondazione è motivo di soddisfazione per me, anche quando il risultato non è grandissimo. Ogni volta mi fa vivere l’emozione che si prova quando si fa qualcosa per se stessi e per gli altri.

L’anno scorso, a febbraio, è morta una ragazza malata di FC, che veniva curata nel mio stesso centro. Anche se aveva solo 15 anni, era molto attiva nella raccolta di fondi da destinare alla ricerca. La sua famiglia continua ad esserlo. Oggi lo faccio un po’ anche per lei di mettermi in gioco, per continuare quello che faceva, perché ci teneva davvero. Io alla sua età non ero così.

Sostenere il lavoro dei ricercatori non è importante tanto per me, quanto per quelli che nasceranno in futuro. La ricerca può fare la differenza. Già rispetto a prima si sono fatti dei miglioramenti. Più avanti si va, più migliorerà la situazione. Il progresso scientifico dà speranza a noi, ai nuovi nati e a quelli che verranno.

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