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Trasformare il dolore in bene

La storia di Cristina

“Impegnarmi per la ricerca, questo è il modo che conosco per trasformare il dolore in bene.”

Cristina ha appena avviato un nuovo Gruppo di sostegno a Ghedi, nella bassa bresciana. L’ha fatto proprio ora, a meno di un anno dalla scomparsa di sua figlia Samantha, portata via a 23 anni dalla fibrosi cistica. In molti le hanno chiesto “perché proprio adesso che lei non c’è più”?
Volontaria a favore di FFC Ricerca, Cristina lo era da tempo: si dava da fare durante le Campagne, compatibilmente con le condizioni di salute di Samy, che già nel 2016 aveva ricevuto un primo trapianto, seguito da quasi due mesi di rianimazione e, 18 mesi dopo, dal rigetto. Lo scorso gennaio, quando tutto è precipitato e poi finito, pesava 23 chili ma, fino all’ultimo, aveva sperato in un nuovo trapianto. Immaginava una rinascita e di potersi finalmente permettere di “partecipare alle Campagne, andare nelle piazze, farsi conoscere dalla gente che sa poco della fibrosi cistica”.

Per Samantha le cose sono andate male. Dopo questo lei avrebbe potuto voltare pagina e invece ha deciso di continuare, addirittura di rilanciare aprendo un Gruppo di sostegno a favore della ricerca. Perché?

Samantha

“Perché io non abbandono il sogno di mia figlia: la fibrosi cistica fa ormai parte della mia vita, ho visto cosa fa ai miei ragazzi e non posso voltare pagina. Sarebbe come tradire lei e quelli come lei. E poi c’è anche un’altra cosa, io ho tanto dolore dentro e non voglio vivere nella negatività ma fare qualcosa di positivo. Questo è il modo che conosco per trasformare il dolore in bene“.

Definisca bene.

“Il bene è la cura per tutti i miei ragazzi”.

Chi sono questi ragazzi?

“Tutti quelli che ho conosciuto in ospedale in questi anni, durante le visite, i ricoveri (elenca molti nomi, alcuni non ci sono più, ndr). Per loro sono mamma Cri: ci incontriamo sui social, li sento, li seguo, ci stiamo vicini. Siamo una famiglia!
Sono belli dentro e fuori, nonostante quello che devono affrontare, e io voglio pensare a loro, cercare di fare qualcosa per loro”.

Cosa ha in mente?

“Voglio buttare giù la barriera dell’ignoranza: fare sapere tutto il male che la fibrosi cistica provoca e che da fuori non si vede. Questi ragazzi hanno due nemici: la malattia e una società che non sa, non conosce, non capisce”. Mamma Cri racconta situazioni vissute da Samy a scuola che stringono il cuore, a testimonianza di quanto lavoro ci sia ancora da fare per aiutare istituzioni e persone a comprendere la quotidianità incredibilmente complicata di un malato FC.

Oggi lei ha scelto di impegnarsi di nuovo e di più a favore della Ricerca. Sia sincera, per come sono andate le cose a Samy, non si è disamorata delle sue possibilità?

Mamma Cristina e altre volontarie durante la Campagna Nazionale FFC Ricerca

“No. Io sono consapevole che i passi fatti oggi dalla ricerca, così grandi, sono il frutto del lavoro del passato. Le soluzioni a questioni difficili come questa malattia non si trovano in poco tempo ma ci vuole pazienza, costanza e tanti soldi. Io confido nella scienza: chi si è impegnato ieri ha dato risultati ora e per questo dobbiamo continuare, per chi verrà dopo. Proprio come diceva la mia Samy, magari per me non ci sarà una cura ma per gli altri ci dobbiamo impegnare”.

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