Marie-Lou è una giovane mamma che ha conosciuto la fibrosi cistica nel modo più brusco e impietoso. Dopo che è nato Ruggero ha usato il suo profilo Instagram @fashioninthemoonlight e il suo blog per raccontare cos’è la fibrosi cistica, sensibilizzare, portare quante più persone possibili alla conoscenza del test del portatore sano.
Dall’anno scorso è anche volontaria di FFC Ricerca.
Hai sempre voluto diventare mamma?
Sì. Io ho sempre avuto un forte istinto materno. In passato mia mamma ha avuto un grave problema di salute e io, nonostante fossi molto piccola, ho sostituito la sua figura occupandomi di lei.
Forse è stato lì che ho sviluppato questo istinto e l’ho riversato in tutti i rapporti: sono protettiva e premurosa. Per le amiche io sono “mamma Pesce”, dal mio cognome.
Quando hai scoperto di essere incinta?
Era il periodo del Covid. Mi è dispiaciuto non poter condividere con amici e parenti questo momento, ma io ero felicissima e un po’ spaventata, come tutte le neo mamme.
Arriviamo al giorno in cui è nato Ruggero.
Dopo una gravidanza fisiologica, Ruggero è nato con un cesareo d’urgenza a 37 settimane. Quel giorno, il 14 dicembre 2020, il mio istinto mi ha detto che c’era qualcosa che non andava e così sono andata in pronto soccorso: il battito c’era, ma lui non si muoveva. I medici hanno deciso per un parto cesareo e appena nato l’hanno portato in sala operatoria. Aveva un volvolo, un blocco intestinale, e dopo 6 ore di intervento mi hanno comunicato che gli avevano asportato un pezzo di intestino. Quando me l’hanno detto ho avuto l’impressione di essere in un film. Come se io stessi assistendo a quel momento, così esageratamente forte e tragico, da fuori. Poi l’hanno portato in terapia intensiva e lì, finalmente, ho potuto vedere mio figlio per la prima volta.

Quando arriva la diagnosi di fibrosi cistica?
Il 7 gennaio arriva la diagnosi. Fibrosi cistica. Una malattia che non avevo mai sentito nominare. Scopro che una persona su 30 è portatrice sana e io e mio marito eravamo entrambi quell’1 su 30. La diagnosi arriva mentre eravamo nel reparto di terapia intensiva, che è stato la nostra casa per i primi sei mesi di vita di Ruggero. I medici non si volevano sbilanciare e “non sappiamo come andrà” era la risposta più ricorrente alle mie domande.
Come li ricordi quei primi sei mesi?
Basta pensare che la prima volta che Ruggero mi ha visto senza mascherina aveva sette mesi. Così sono stati: tragici, dolorosi, fisicamente e psicologicamente intensi. Mio figlio ha subìto una seconda operazione per ricanalizzare l’intestino che è andata malissimo. Quello forse è stato il momento più difficile: Ruggero era intubato e piangeva, in silenzio. Io lo guardavo, impotente.
Ha avuto un’infezione da catetere con febbre altissima e alti dosaggi di antibiotici. È seguita una
terza operazione per inserire il tubo di Kehr, un dispositivo medico che serve per drenare la bile. Lentamente i medici sono riusciti a ricanalizzare l’intestino: un processo reso difficilissimo a causa delle aderenze intestinali, delle infezioni e al fatto era un bambino prematuro e debilitato.
Quando è arrivata la prima cacca giuro che l’avrei voluta incorniciare!
(Marie-Lou ride, ndr).

Cosa ti ha dato la forza in quel periodo?
Sicuramente la tenacia di Ruggero. A ogni operazione, a ogni scelta medica, dovevo firmare plichi di fogli che mi informavano sulla possibilità che lui non si svegliasse più. Lui ha affrontato tutto e lo ha superato. Pensavo: se lui regge, io non mollo.
Non ho avuto alternative, anche se, riguardandomi, posso dire di aver vissuto i primi sei mesi in apnea. Oggi ho problemi di salute di ogni tipo, anche gravi. Lo stress emotivo che ho vissuto è stato troppo forte. Sono sempre stata presente, attenta. Il mio organismo lo ha somatizzato, inevitabilmente. Mi sono fatta seguire da subito da una psicologa e questo mi ha aiutato.
Quando è iniziata un po’ di normalità?
Per mesi e mesi ha tenuto il broviac, un catetere venoso che serve per somministrare alimenti e terapie. Ogni giorno sembrava di giocare al piccolo chimico per comporre le sacche per le flebo. Bisognava pulirlo bene, fare tantissima attenzione per evitare le infezioni, dosare con cura le componenti.
Poi un giorno se l’è sfilato da solo. E da lì abbiamo detto: proviamoci. Ha iniziato ad accettare il cibo e finalmente la tanto agognata normalità ha bussato anche alla nostra porta.
Lo scorso dicembre abbiamo festeggiato un suo compleanno, il quarto, per la prima volta, con altre persone. Vederlo con bambini sani mi ha emozionata. Io vorrei questo, la normalità, e so che con l’aiuto della ricerca arriverà.
Come hai scelto di cercare una seconda gravidanza?
Ho preso contatti con i medici per intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita, ma tre giorni prima dell’incontro ho scoperto di essere incinta, in una montagna russa di preoccupazione e felicità. Il periodo che è trascorso
fino alla villocentesi è stato pieno di ansia e ho vissuto dei momenti di forte crisi.

È stata una gravidanza diversa?
Sì, perché non me la sono goduta. Sono rimasta con il fiato sospeso fino all’esito della villocentesi. Non ho raccontato a nessuno di essere incinta finché non ho scoperto che il bambino era sano. Non consiglio la mia scelta perché il carico emotivo è stato pesantissimo, quasi ingestibile.
La PMA invece presuppone un inizio che spaventa perché è faticoso fisicamente e psicologicamente, ma sul lungo tratto è più sicuro e mette al riparo dalle preoccupazioni.
Se ti avessero detto che c’era la possibilità di effettuare
il test del portatore sano di fibrosi cistica lo avresti fatto?
Certo. Uso il mio profilo Instagram e il mio blog per sensibilizzare i futuri genitori a prendere una scelta consapevole.
Ognuno ha in mente il proprio progetto di vita e può scegliere se fare o non fare il test e, in caso di esito positivo, come
comportarsi. Ma questa libertà di scelta va presentata e spiegata. Nessuno merita di soffrire come abbiamo sofferto noi.