Michol

Mi chiamo Michol, compirò 16 anni a settembre, e ho bisogno di un paio di polmoni nuovi. La fibrosi cistica non è solo i volti di quelli che sembrano stare bene. C’è anche la tragedia.

Abito sul litorale romano, a Torvaianica. La strada divide il mare da casa mia. L’aria di mare mi aiuta a respirare. A gennaio 2015 ho dovuto iniziare a usare l’ossigeno. L’ho portato continuamente da subito. Speravo di toglierlo, ma poi mi hanno detto che avrei dovuto mettermi in lista di trapianto. Non mi ero ancora abituata all’idea, quando i medici mi hanno consigliato di lasciare la scuola. Ho continuato a passare da un pensiero all’altro per adattarmi alle situazioni. Ancora non ho trovato un centro trapianti che mi accetti, ma non mi do per vinta.

Non riesco più ad andare a scuola. Ho fatto fino alla terza media. Avevo iniziato il liceo artistico, ma a dicembre ho dovuto abbandonarlo. I miei amici mi sono sempre stati vicini. Sono molto disponibili. La fibrosi cistica mi ha tolto molto ma mi ha dato tanto. Mi ha fatto vivere emozioni belle e situazioni diverse rispetto ai miei coetanei. Sono maturata di più e più in fretta, anche se ho il corpo di una bambina di nove anni. In modo diverso faccio tutto e vivo divertendomi al massimo.

Non sono mai stata davvero bene, ma prima di diventare inseparabile dall’ossigeno ho fatto equitazione, nuoto, danza hip hop, classica e moderna, sci e tennis. Avevo pure iniziato un corso di canto e recitazione, prima di doverci rinunciare per via delle mie condizioni di salute. Ho tre cani: Clio, che ho trovato sulla strada; Mina, la bassottina, e Thor, il boxer. Rinchiudermi dentro casa non ce la faccio. Con la carrozzina vado dappertutto. Mi piace un sacco fare i regali e uscire con gli amici. Siamo in una quindicina in compagnia. Quando i ricoveri a Verona diventano lunghi mi mancano. La mia passione più grande comunque è il trucco. Guardando i video delle makeup artist su YouTube ho imparato.

Ho scelto di mettere la faccia a sostegno della ricerca per mostrare la gravità della fibrosi cistica, perché si vedono sempre ragazzi che stanno bene, ma la fibrosi cistica è così diversa da paziente a paziente. Ci sono ancora situazioni drammatiche e se le Paralimpiadi non le nascondono, non vedo perché non raccontarle tutte le storie. Moltissime persone mi seguono sui social. Di alcuni ragazzi non lo sanno nemmeno i parenti che sono malati. Si complimentano per il mio coraggio, mi chiedono consigli. È difficile dare delle risposte. Dico solo che forse nemmeno loro l’hanno accettata la malattia, se la nascondono, e che piano piano dovrebbero iniziare a raccontarla a chi vogliono bene.

La fibrosi cistica è una malattia rara ma d’interesse comune, perché un italiano su 25 ne è portatore sano. Può lasciarti vivere una vita quasi normale o piena di avventure, dipende da come l’affronti e da chi hai attorno a te. Mamma non m’ha mai fatto ricadere un solo peso. Non dispera. Ha sempre il sorriso. È splendida. Sono stata in terapia intensiva, cosciente e rompipalle, per quattro giorni. Non mangiavo, avevo il sondino e il catetere, una maschera grossa così che non sfiatava e mandava un caldo infernale. Stavo molto sotto morfina, ma sapevo che sarei uscita di lì. Lei non ha mai pianto.

Piangere non serve a niente. Se la fibrosi cistica era per tutti uguale era più facile. Così i medici e gli studiosi non riescono a capire, se non faticando molto. Quello che possiamo fare noi è raccogliere quanti più fondi perché non manchino i mezzi per ampliare la conoscenza della malattia, renderla sempre più vulnerabile e regalarci la felicità di una cura.

Davide

Sono Davide, frequento il terzo anno del liceo scientifico, e ho la fibrosi cistica. Quando ero più piccolo mi dava fastidio dire di essere malato. Ho dovuto abituarmici. Non significa però essermi rassegnato all’idea che lo sarò per sempre. Per questo vi chiedo di sostenere la ricerca.
Davide