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Ricercatore, un mestiere per chi non si arrende mai

Dietro il microscopio, Nicoletta Pedemonte

Nicoletta Pedemonte, biologa, dirigente sanitario al Gaslini di Genova, collabora con Fondazione da oltre un decennio alla ricerca di terapie risolutive per i malati FC. “Allevata” da nomi importanti nella storia della fibrosi cistica come Luis Galietta (che lei chiama Gino) e Alan Verkman, riconosciuti in tutto il mondo come apripista verso la scoperta di farmaci per la correzione del difetto di base della FC, è impegnata sull’argomento particolarmente caldo degli studi ex vivo che promettono risposte anche ai malati rimasti al momento orfani di cura.

 

Lei si occupa di capire come rispondono le mutazioni orfane a modulatori di CFTR nuovi o già in uso, testati su colture di cellule nasali del malato. Come funziona?

“Con un intervento simile a quello fatto oggi con i tamponi per il covid-19, noi preleviamo un pezzettino di paziente: cellule nasali che facciamo crescere in laboratorio creando piccoli epiteli uguali a quelli che coprono le nostre vie aeree. Questo ci permette di studiare le mutazioni presenti, capire il difetto causato e vedere se sono correggibili con farmaci già in uso oppure nuovi. Per anni si è lavorato solo sulla F508del, perché presente nel maggior numero di malati, ma negli ultimi anni sta emergendo un fatto nuovo: gli stessi risultati positivi sono trasferibili ad altre mutazioni”.

Cosa si può aspettare un “paziente orfano” nei prossimi tempi?

“Potremmo dirgli che per ora non esiste un composto attivo sulle sue mutazioni oppure che gli studi in vitro hanno dato prova di efficacia ma che resta il problema dell’approvazione da parte degli organi regolatori. Quando arriveremo al punto che le prove in vitro saranno sufficienti come in Usa, sarà come sfondare un muro! Ma per adesso noi stiamo lavorando a dare conferma, con gli studi ex vivo su cellule dei pazienti, di quanto provato in vitro e, oltre a questo, a studiare mutazioni tipicamente italiane che altrimenti rischierebbero di restare nell’angolo”.

Ricercatrice, dirigente biologo in un centro di eccellenza come il Gaslini di Genova, volontaria, mamma…che altro?

Io ho due figli biologici ma ogni bambino o ragazzo che abbia bisogno di me, è come se diventasse figlio mio: faccio tutto quello che può servire, in laboratorio ma anche come volontaria”.

Rachele Somaschini e Nicoletta Pedemonte nel manifesto della Campagna Nazionale 2019

Per quello ha accettato di prestare la sua immagine, fare la modella nella Campagna nazionale 2019?”.

“È stato un onore. Ma più che modella volevo essere un modello dei ricercatori FFC, nel lavoro e come persona, disposta a diffondere i valori di solidarietà di Fondazione”.

Com’è stato esporsi?

“Ero imbarazzata dalle foto ma emozionata di conoscere Rachele, il mio idolo! La stimo molto per quello che fa: il mio sogno segreto sarebbe fare un giro in macchina con lei! ”.

Si è fatta 6 ore di auto assieme al dott. Castellani per assistere in disparte al funerale del prof. Mastella. “Dovevo salutarlo” ha detto semplicemente. Perché? Cosa le ha dato quest’uomo di tanto importante da descriverlo come insostituibile?

Mi ha fatto capire il senso di quello che faccio. Spesso i volontari parlano di noi ricercatori come di benefattori dell’umanità. Non sanno che, nella maggior parte dei casi, noi non partiamo con l’idea di fare del bene ma di fare ricerca. Studiare una proteina o un’altra è lo stesso…a meno che tu non riesca a capire il valore che un passo avanti, anche piccolo, può avere per le persone in attesa di quella cura”.

Questo è successo a lei?

La fibrosi cistica non la lascerò mai. Me l’ha fatto capire il prof aprendomi gli occhi su quello che c’è dietro i nostri studi, facendomi vedere il ponte che unisce gli aspetti scientifici a quelli umani. Per questo non potevo non salutarlo: l’ho fatto per lui e per me, ne avevo bisogno”.

Congresso NACFC, Baltimora, USA, 2005

Torniamo indietro nel tempo, nel 2003. Mi dica un po’ di quegli otto mesi fatti a San Francisco nel laboratorio del prof. Verkman.

“È stato come prendere una persona che non sa nuotare e cacciarla in alto mare. O impari o affoghi”.

Lei è viva, quindi ha nuotato.

“Non ero mai stata all’estero per lavoro e in America ho conosciuto una realtà di ricerca molto diversa da quella italiana a cui ero abituata (prima in ambito universitario, poi al Gaslini, nel gruppo di Gino Galietta); un ambiente estremamente individualista, poco portato ad accettare collaborazioni per il successo di un progetto”.

È sopravvissuta in quanto terminator, come l’ha confidenzialmente descritta il prof. Galietta?

“Penso si riferisse al fatto che fatico ad accettare compromessi: davanti ho sempre il malato e dunque le cose vanno fatte bene, senza arrendersi, senza mai fermarsi”.

Il dubbio “resto in California” l’ha attraversata?

“Quando Verkman mi ha chiesto di restare, ci ho pensato: per poco, ma ho pensato che si poteva fare”.

Però?

“Però avevo lasciato in Italia quello che sarebbe poi diventato mio marito. Stava preparando la casa e di lì a poco ci saremmo sposati”.

Quindi è tornata per lui?

Nicoletta Pedemonte con i figli e i gadget solidali FFC

“Per lui e per il Gaslini: ero stata mandata alla University of California per svolgere un preciso lavoro e non sarebbe stato corretto accettare la proposta di restare. Confesso di avere un amore per il Gaslini. Sono una genovese doc e quell’ospedale è sempre stato il nostro vanto. Non mi arrendo all’idea che l’Italia non possa avere una ricerca di eccellenza a livello di quella americana e certamente questo non succederà mai se tutti se ne vanno”.

Pentita?

“No, mai. Mi piacerebbe sapere come sarebbe andata la mia vita se fossi rimasta, ma è solo una curiosità”.

Qual è il passo avanti nei suoi studi scientifici di cui va più fiera?

In realtà i passi sono due. Il primo è del periodo americano perché da quel lavoro è uscito il primo correttore di CFTR. Avevamo in testa un’idea che a quei tempi era solo una scommessa: la possibilità che la proteina mutata fosse recuperabile. I risultati ci hanno dato ragione, abbiamo per la prima volta dimostrato che la correzione era fattibile”.

E il secondo passo?

“Sono vent’anni che esaminiamo le cellule delle vie aeree provenienti da pazienti FC e ora, all’interno del progetto FFC 9/2019, con il mio gruppo abbiamo trovato composti efficaci per oltre il 50% dei malati esaminati, capito quanto funzionano, qual è l’impatto sulla mutazione e il suo possibile recupero”.

Da quanto lo sapete?

“Abbiamo iniziato ad averne sentore lo scorso autunno, con un effetto su decine di donatori di cellule. È stata l’ultima cosa di cui ho parlato con il professor Mastella”.

Cosa vi manca per rendere concreto questo passo avanti?

“Le autorizzazioni. Abbiamo verificato che ci sono decine di mutazioni che potrebbero rispondere ai composti selezionati. Alcune sono quelle per cui l’FDA ha già approvato l’uso negli Stati Uniti basandosi sui test in vitro”.

Ma in Italia i test in vitro non sono sufficienti per ottenere la prescrivibilità.

“Per questo i nostri studi ora puntano a verificare il beneficio clinico testando i composti direttamente sulle cellule dei nostri malati: si parte dalle conoscenze validate dall’ FDA e si procede con gli studi ex vivo sulle cellule dei pazienti italiani. Oltre a questo, abbiamo lavorato su mutazioni tipicamente italiane, alcune addirittura regionali, e qui c’è una buona fetta di malati che potrebbe trarre beneficio anche dai farmaci già approvati”. (Va detto che questa prospettiva dovrà in futuro essere chiarita con AIFA per confermare la possibilità che studi in vitro, convalidati nella loro efficacia dai test ex vivo, possano sfociare nella prescrivibilità a carico del SSN di un farmaco attivo su determinate mutazioni CFTR, ndr)

Lei parla sempre al plurale, a chi pensa?

“È perché sono orgogliosa del gruppo di lavoro che ho saputo costruire e mantenere qui al Gaslini. Con la partenza di Galietta nel 2016 e poi con la perdita di Olga Zegarra, su tre principal investigator sono rimasta solo io, la più giovane. Sono riuscita a tenere, e non era scontato, perché ho potuto circondarmi di persone altamente motivate e competenti: se ti circondi di cervelli anziché di sole braccia è meglio!”.

Dirigente ospedaliero donna: tutto liscio o qualcosa da segnalare c’è?

Ride, dice qualcosa a proposito di un mio tentativo di farla licenziare.Difficile giostrarsi tra ruolo femminile materno e lavoro. Per non rinunciare a nessuna delle due parti serve un marito, una persona che ti sostenga. E poi un capo supportivo come il mio direttore, prof. Federico Zara”.

Nicoletta Pedemonte con alle spalle il manifesto di Star Wars

Qual è il lato-ricercatore che riconosce in se stessa nella vita di tutti i giorni?

“L’abitudine a prendere il toro per le corna. Scegliere tra fare o non fare. Non c’è provare”. 

La citazione arriva da Star Wars di cui è un’accanita ammiratrice, come d’altra parte testimonia il manifesto alle sue spalle: una comparsa inaspettata in questo asettico studio ospedaliero al Gaslini ma che di certo lancia qualche segnale sul suo modo di affrontare il lavoro. La filosofia del non esiste provare, con tutto il carico di determinazione che si porta dietro, non sarà da sola una garanzia di successo ma è di certo la promessa di non mollare finché il risultato non sia raggiunto.

 

L’intervista a Nicoletta Pedemonte è stata pubblicata in anteprima sul Notiziario FFC 58, l’avevi letta? Il nostro periodico è sempre disponibile qui: puoi continuare a supportarlo donando con la causale “Notiziario 58”.

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