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Se anche solo una coppia farà il test del portatore grazie a questo racconto, ne sarà valsa la pena.

La testimonianza di Petra

Ci penso da mesi, mi è mancato il coraggio, ma voglio raccontare com’è nato il Gruppo, anche se solo a pensarci ho le lacrime agli occhi. Lo so, esporsi può essere un’arma a doppio taglio, ma io ci voglio mettere la faccia e aiutare qualcuno.

 

A condividere questa testimonianza è Petra, responsabile del Gruppo di sostegno FFC di Bolzano, ma dire che è la sua storia sarebbe errato: ci sono tante vite, numerosi ricordi e desideri in queste righe. Come in un ricamo, fili che si intrecciano, si separano e si sovrappongono, dando origine a un disegno unico e non replicabile. Quello di ciascuna famiglia. 

Origine di una coppia e primo “incontro” con la fibrosi cistica 

Petra e Fabrizio si conobbero a Ravenna, lui era collega del fidanzato di un’amica di lei. Un incontro fortunato che li legò subito: dapprima una storia a distanza, su e giù tra Bolzano (dove lavora tuttora) e Ravenna, città “adottiva” di Petra (nata in Romania); poi il grande passo con una proposta di matrimonio e la decisione di trasferirsi al nord, per costruire una vita insieme. Si sposarono nel 2015 e, da allora, arrivarono Federico e poi Valentina. Con la secondogenita, però, giunse anche la pesante diagnosi di fibrosi cistica. Insieme a uno sconvolgimento che solo le famiglie FC possono conoscere. Tuttavia questa malattia non era del tutto ignota ai giovani genitori.

Erano i tempi di Ravenna quando Petra conobbe per la prima volta una carissima cugina del suo futuro marito: brillante, poliglotta e cittadina del mondo come lei, perché nata all’estero (in Svizzera) e trasferita successivamente in Italia con la mamma. Fabrizio disse solo che aveva una malattia importante, fibrosi cistica. Si chiamava Valentina. Sì, lo stesso nome che oggi porta la bimba di Petra e Fabrizio.

Si piacquero, si affezionarono e il silenzio di Valentina sulla FC fu sempre rispettato, silenziato dall’energia vitale e dalla gioventù, vissuta sempre al massimo delle sue possibilità per non sprecare nemmeno un secondo di quello che, lei sì lo sapeva, sarebbe stato un viaggio terreno più breve. Visse appieno, laureandosi in Mediazione Linguistica dopo aver superato il trapianto, partecipando al matrimonio del cugino e della sua sposa benché già assai debole. “Era una persona incredibile, intelligente e speciale. C’era un mare di gente a renderle omaggio al funerale, lei se l’era organizzato nel dettaglio, scegliendo letture e musica, chiedendo non fiori ma donazioni per la Ricerca racconta oggi commossa Petra.

Uscendo sul sagrato dopo la cerimonia, partì l’ultima canzone, “La collina dei ciliegi” di Battisti, con un testo straordinariamente calzante.

“E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante
Cancella col coraggio quella supplica dagli occhi.
Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante
E quasi sempre dietro la collina il sole
[…]
E respirando brezze che dilagano su terre
Senza limiti e confini
Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini
E più in alto e più in là
Se chiudi gli occhi un istante
Ora figli dell’immensità”

“Eppure niente test del portatore, dopotutto, che possibilità c’erano?”

“Non so dire, oggi, la ragione per cui non approfondimmo cosa fosse la fibrosi cistica, la sua origine, e nel frattempo stavo per partorire il mio primogenito. Pensammo che in futuro avremmo dovuto fare il test del portatore, ma poi Federico nacque ed era sano, la gioia ci confortò e travolse, come succede nella vita, e accantonammo il pensiero. La nostra vita era piena, felice. Riuscimmo a comprare casa, ci trasferimmo e nel frattempo rimasi di nuovo incinta, senza che avessimo fatto l’esame. A quel punto, facendo l’ecografia morfologica esposi questo dubbio sulla malattia che si era portata via Valentina. Tuttavia non avrei comunque abortito, perciò scelsi di non approfondire e continuare serenamente la mia gravidanza. Dopotutto, un uomo siciliano e una donna romena, che possibilità c’erano? Oggi mi tormenta non aver squarciato quel velo di ignoranza e di leggerezza con cui passammo sopra al test, prima della gravidanza!. Una condivisione dolorosa per Petra, mentre ripercorre con la mente quei giorni. D’accordo con Fabrizio, avevano già domandato alla zia Mimma, mamma della scomparsa Valentina, di poter scegliere lo stesso nome per la bimba in arrivo. Chi avrebbe detto che avrebbero condiviso anche la stessa diagnosi… 

Valentina nacque con un bel parto naturale, una prima esperienza di immensa gioia per mamma Petra. Come di routine, dal tallone della piccola venne prelevato un campione di sangue per lo screening neonatale e poco dopo la famiglia tornò a casa. Fu lì che il dubbio, sfibrante, di aver sbagliato a non fare il test del portatore prima della gravidanza, iniziò ad angosciarla. Un brutto presentimento. Di norma, entro un mese si hanno eventuali riscontri dello screening. Passarono tre settimane e mentre si trovava al centro commerciale ricevette una chiamata dall’ospedale. Lo shock. Due giorni dopo, a Verona, il dottor D’Orazio (allora direttore del Centro FC scaligero, scomparso nel settembre 2018, nda) con il test del sudore confermò alla famiglia la fibrosi cistica di Valentina. Con delicatezza “Ci disse la FC è diversa per ognuno, bisogna vedere le mutazioni, non tutte sono uguali né di conseguenza le manifestazioni.” – racconta – “Ci raccomandò di farle vivere una vita normale”.

Il baratro e il senso di colpa, ma poi la voglia di impegnarsi e fare informazione

La piccola Valentina, da subito testimonial FFC

Oggi, con determinazione e coraggio, Petra sceglie di condividere la sua storia, la sofferenza che ha attraversato, il senso di colpa e l’assenza di futuro che vide quando, con la diagnosi di Valentina, sprofondò in un buco nero. Non c’era più luce, il sogno di una famiglia felice, con due bimbi sani, era infranto e la divorava il tarlo che se avessero fatto il test del portatore… Qualcosa cambiò quando decise che non servivano solo gli specialisti per Valentina, ma che anche lei necessitava di un supporto, di un professionista preparato che la guidasse mentre trovava dentro di sé gli strumenti per affrontare questa sfida, per liberare l’amore verso la sua bambina senza che la paura di perderla prendesse il sopravvento. Mio marito mi è sempre stato vicino, pur essendo introverso. Gli ho chiesto milioni di volte come stesse, come potesse pensare alla sua cugina tanto amata e ora a sua figlia, con lo stesso nome e lo stesso male. Per lui è importante vivere la vita ora, conta quello”

“Una sensazione distruttiva di senso di colpa per non aver fatto il test del portatore mi tormenta sempre. Ho voluto istituire il Gruppo di sostegno FFC di Bolzano per sostenere la Ricerca, certo, perché il destino della “mia” Valentina sia diverso da quello della cugina che non c’è più. Ma più di qualsiasi altra cosa, il mio impegno, la fatica con cui a volte mi scontro per rompere il muro di silenzio, diffidenza e freddezza che riscontro sul territorio, sono rivolti a informare le persone sulla possibilità di essere portatori sani, di fare un test per scoprirlo e di scegliere come comportarsi secondo coscienza – per carità, ognuno ha la sua! – ma in modo consapevole. Perché se non lo sai, è come giocare alla lotteria con la vita di un figlio. Lo so che questa intervista potrà avere delle reazioni anche negative, ne sono consapevole, eppure ognuno fa quello che pensa sia più giusto e utile: per me è l’informazione. Se anche solo una coppia farà il test del portatore grazie a questo racconto, ne sarà valsa la pena.

 

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