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Martina C.

“Stiamo male”, mi dissero. Fu un sollievo scoprire che parlavano d’amore e non di FC.

Mi chiamo Martina, nata a Brindisi nell’estate del 2000. Mio fratello Daniele invece arrivò nove anni dopo, a settembre. Difficile raccontare la mia storia senza parlare da subito anche di Dani, perché è con la sua diagnosi che arrivò la mia.

A 8 mesi, mio fratello fu portato dal pediatra perché non stava bene: disidratazione. Fece analisi più approfondite e arrivò la diagnosi: fibrosi cistica. I nostri genitori non la conoscevano, ma poiché è genetica, anch’io fui sottoposta ad esami, e la risposta fu la medesima. Non avevo avuto grandi problemi fino a quel momento, nessuno si era mai insospettito per la tosse che avevo sempre. Fu una batosta, soprattutto per mia madre, ma ne sapevamo veramente pochissimo.

Per anni le terapie furono “un optional”, sia per me che per Daniele: senza renderci conto di quanto fosse realmente importante rispettarle, senza capire che anche il contatto tra di noi doveva avere delle regole. Ci capita, oggi, di guardare delle vecchie fotografie ed è Daniele a dire “Ma eravamo pazzi a stare così vicini?!”. Facevamo come nulla fosse. Niente terapie per giorni e giorni. Addirittura anni di tragitto casa-scuola in pullman! Nemmeno io, che ero la più grande, volevo sapere nulla della malattia, credo per paura. Una volta, a una visita vidi un manifesto che mi lascò addosso una grande inquietudine: diceva “La fibrosi cistica ferma la vita. Fermiamo la fibrosi cistica.” Mi rivolsi a mia madre, la quale impacciatissima mi rispose in maniera confusa. Penso volesse proteggermi.

La prima svolta dell’approccio alla FC coincise con il mio primo ricovero, almeno dal punto di vista delle cure. Avevo 17 anni e da un controllo in Day Hospital e dalla tac risultò che avevo bisogno dell’endovena. Ingenuamente, pensai che quell’unica operazione mi avrebbe guarita, che sarei tornata a casa e finita lì. Fu uno shock apprendere che l’avrei dovuta ripetere periodicamente! In ospedale avevo letteralmente il terrore di uscire dalla stanza, di incontrare altri malati FC e di sentire rumori (sentii delle tossi mostruose, che mi impressionarono!), racconti, drammi. Uscita da lì, tutto cambiò per le terapie: Pep, medicine, aerosol con grande precisione. E divenni un po’ una guardiana per mio fratello: “Dani, bevi! Dani, prendi le medicine!” e così via. Lui non capisce tutto, ma ha interiorizzato molto e spesso mi grida “Non mi toccare!” o “Il telecomando è pieno di germi”. Stiamo a distanza a tavola, non possiamo dormire insieme e la scuola è il peggior pericolo. Infatti in quarantena siamo stati sempre bene.

La seconda svolta della mia vita con la FC invece è più recente. A dicembre 2019 ebbi un altro ricovero ed ero ben decisa a non muovermi dalla mia stanza, a non interagire con nessuno. Una sera però ero sola (avevo insistito perché mamma tornasse a casa da Dani) e dovetti uscire per qualche ragione. Seduti a distanza, con la mascherina, nella sala d’attesa c’erano una ragazza sui vent’anni e un ragazzo sui trenta, tutto tatuato. “Chi sei?” mi interpellarono. Io mi paralizzai lì, con la flebo. “Noi stiamo entrambi male” disse uno dei due. Ecco, pensai, ecco che stava per succedere quello che temevo di più. Non so spiegare il sollievo che provai quando proseguendo il discorso capii che parlavano di pene d’amore e non di fibrosi cistica! Allora parlano anche d’altro..! Così cominciammo a chiacchierare e conobbi poi anche altri ragazzi, tra cui una “gemella di mutazioni”, una donna di 46 anni. Ero solo io l’eremita, loro si conoscevano tutti! Naturalmente poi parlammo anche di FC, appresi da loro moltissime cose che ignoravo: i nuovi farmaci detti modulatori, Trikafta, la Fondazione. Da allora leggo moltissimo, le Domande e Risposte, le storie degli altri ragazzi e così via. Ora mi rendo conto che la ricerca può fare la differenza, che l’informazione serve e che noi malati possiamo essere portavoce di questo messaggio. Per noi, la ricerca è la vera speranza, quest’anno il messaggio che cercherò di divulgare il più possibile è di destinare il 5×1000 a FFC. Le persone ci possono essere vicine anche a distanza!

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