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15 Novembre 2007

Conoscenze e comportamento di un campione di adulti FC inglesi riguardo al rischio di trasmissione di batteri patogeni

G. Borgo

Il maggior contributo alla malattia polmonare FC è dato dall’infezione cronica causata da specifici batteri: nell’infanzia sono soprattutto Stafilococco aureo e Emofilo, mentre in età adulta l’80% dei malati è colonizzato da Pseudomonas aeruginosa, la cui presenza è associata in genere ad un peggioramento della funzionalità polmonare.

In seguito all’identificazione di infezioni epidemiche fra i malati, causate da Burkolderia cepacia e da alcuni ceppi di Pseudomonas, la maggior parte dei centri FC ha adottato misure di separazione dei malati orientate a limitare il rischio di trasmissione di germi ritenuti pericolosi. Si sa che la maggior parte dei genitori e dei curanti di bambini FC in età pediatrica ha accolto con favore queste misure (1), ma poco si sa circa la conoscenza del problema e le modalità di comportamento nei confronti delle misure di segregazione dei malati in età adulta. Per saperne di più, presso il Centro di Birmingham, in Inghilterra, hanno preparato un questionario (2) e hanno chiesto agli adulti FC di compilarlo, somministrandolo direttamente durante il ricovero o il controllo ambulatoriale o spedendolo a casa. Il questionario aveva superato una prima fase di validazione attraverso la somministrazione ad un piccolo gruppo di malati, compresi una decina di soggetti colonizzati da B. cepacia che venivano al controllo separati dagli altri.

Di 184 malati a cui è stato proposto il questionario, lo hanno compilato in 94 (51.1%, quota assai modesta, indizio forse della difficoltà di affrontare l’argomento). Di questi 94 sono stati raccolti attraverso le cartelle cliniche del Centro i dati demografici e clinici : erano maschi nel 58% dei casi, avevano un’età media di circa 27 anni, valore di FEV1 medio 62%; nell’anno precedente ciascuno aveva fatto una media di 2.8 cicli di antibiotico per via endovenosa e aveva eseguito circa 10 volte l’esame dell’escreato (spedito da casa, o presso il Centro). Il 34% aveva diabete FC. Il 23% epatopatia FC e il 3% alterazione della funzionalità renale. I batteri presenti nell’escreato erano: Pseudomonas aeruginosa, Stafilococco aureo, Stafilococco aureo multiresistente (MRSA) e B.cepacia, rispettivamente nel 87%, 32%, 12% e 2% dei casi.

Questi i risultati per quanto riguarda l’area delle conoscenze : il 63% dei rispondenti diceva di essere stato avvisato di non frequentare altri malati FC, mentre il 35% diceva di non aver ricevuto nessun avviso. Circa la metà dei rispondenti non aveva nessuna idea se ci fosse e di che entità fosse il rischio di infettarsi con B.cepacia o MRSA nel corso della vita; più conosciuto (da almeno un 60% dei rispondenti) il rischio di contrarre Pseudomonas, anche se per lo più molto sottostimato. Circa il modo con cui i batteri si acquisiscono, addirittura solo una metà scarsa sapeva del rischio di trasmissione da malato a malato; il 30% diceva di non conoscere questo rischio, solo un 15% circa sapeva della presenza dei germi nell’ambiente. Conoscenze un po’ particolari venivano riportate riguardo allo Stafilococco: molti attribuivano la sua acquisizione all’ambiente ospedaliero e in generale alla scarsità di misure igieniche. Circa il 30% diceva di non sapere le conseguenze del sopraggiungere di uno stato di infezione cronica con l’uno o l’altro batterio, mentre i rimanenti vi collegavano o un peggioramento della situazione polmonare o una maggiore difficoltà di trattamento.

Per quanto riguarda il comportamento rispetto alle norme suggerite: circa la metà dei rispondenti diceva di evitare deliberatamente contatti con altri malati per il rischio di contrarre batteri; e affermava che questa decisione non rappresentava una limitazione pesante della loro qualità di vita; esprimevano inoltre un livello di preoccupazione molto alto per quanto riguardava il rischio di contrarre MRSA, seguito da B. cepacia e da P. aeruginosa. Invece, circa il 21% diceva di frequentare in generale gli altri malati e di farlo mentre era in ospedale (35%) e anche durante la fisioterapia o l’aerosolterapia (6%). Una quota significativa (51%) di questi che non aderivano alle norme suggerite, sorprendentemente diceva che non ne avrebbe risentito in termini di qualità di vita se avesse preso la decisione di evitare del tutto gli altri malati FC; mentre circa un quarto diceva che, se l’avesse fatto, ne avrebbe riportato un disagio troppo grande.

Si ricava complessivamente dai dati una fotografia non brillante dello stato dell’informazione di questi adulti FC: le conoscenze sia sull’entità del rischio di contrarre infezione da germi pericolosi nel corso della vita sia sulle modalità attraverso cui questo può avvenire (dall’ambiente o da altri malati) sembrano essere modeste. A fronte di queste scarse conoscenze non meraviglia che le norme che hanno lo scopo di limitare il rischio di trasmissione crociata dei batteri sembrino essere accettate passivamente e con scarsa cognizione di causa. Tant’è vero che fra coloro che non le accettano (che rappresentano circa il 20%-35% del totale) la ragione sembra essere per lo più una mancanza di considerazione dei rischi e solo in una minoranza dei casi, invece, il rifiuto della misura perché giudicata come limitante la qualità di vita. La preoccupazione verso il rischio di contrarre MRSA sembra essere sovrastimata e gli autori della ricerca ipotizzano a questo riguardo un’influenza dei mass media nel pubblicizzare eventi in cui questo batterio è implicato. Sottolineano che probabilmente la mancanza di uno strumento scritto dedicato al tema può essere una causa della poca informazione di questo campione di adulti FC inglesi.

Viene spontaneo chiedersi quali risultati darebbe analoga inchiesta fra gli adulti dei centri FC italiani.

1)Griffiths Al et all “Effects of segregations on a epidemic pseudomonas aeruginosa strani in a cystic fibrosis clinic” Am J Respir Crit Care Med 2005;171 (9):1020-5

2) Waine DJ et all “Cross-infection in cystic fibrosis: the knowledge and behaviour of adult patients” J Cyst Fibros 2007; 6:262-266

15 novembre 2007