Riportiamo in sintesi alcune notizie raccolte alla recente Conferenza Europea sulla Fibrosi Cistica, tenutasi a Dublino dal 6 al 9 giugno scorso. I contributi portati erano in grande maggioranza centrati sui problemi dell’assistenza ai malati. Molto è stato presentato e discusso su vari problemi diagnostici: dallo screening neonatale, all’analisi genetica, alla diagnostica microbiologica, a quella della funzionalità respiratoria e motoria, a quella radiologica avanzata. Particolare attenzione è stata dedicata a come gestire l’aderenza dei malati alle cure, alla fisioterapia respiratoria, alla nutrizione. Di rilievo alcuni studi epidemiologici, con dati sulla riduzione di incidenza della malattia, sull’importanza prognostica dei fattori socio-economici, sulla paternità dei malati FC, sull’allungamento della durata di vita dei malati, e sul miglioramento della funzione respiratoria dei malati registrati negli ultimi anni.
Sono stati inoltre presentati i risultati di interessanti studi clinici con nuovi farmaci. Ivacaftor (nome commerciale Kalydeco) ha avuto naturalmente la parte del leone. Accanto ai grossi trial che abbiamo già conosciuto ed analizzato sono stati prodotti vari studi secondari mirati a confermare i positivi effetti del farmaco in pazienti con mutazione G551D, soprattutto sulla funzione respiratoria, misurata anche con metodi sofisticati di risonanza magnetica, sullo stato nutrizionale e sulla qualità di vita dei malati. Abbiamo avuto conferma che Ivacaftor agisce in vitro con spiccata efficacia terapeutica su almeno altre nove mutazioni di “gating” (quelle che tengono chiuso il canale CFTR), ma anche su alcune mutazioni di classe IV (quelle che pur consentendo l’apertura del canale rallentano il passaggio del cloro), in particolare la R117H.
Confermato anche che stanno partendo studi clinici con Ivacaftor sia su pazienti con mutazione R117H (rara in Italia ma abbastanza frequente nei paesi anglosassoni) che su pazienti con varie mutazioni di “gating” (le une e le altre peraltro rare in Italia). Di grande interesse le nuove informazioni sullo studio di fase II con la combinazione di Ivacaftor e VX-809 (cui ora viene dato il nome di Lumicaftor) in pazienti con mutazione DF508. Lo studio è ancora in corso e si sta cimentando con dosaggi più sostenuti di VX-809: 200, 400 e 600 mg una volta al di per 52 giorni, associato a Ivacaftor 250 mg al giorno per 28 giorni. Anticipati alcuni risultati su pazienti DF508 omozigoti (lo studio peraltro include anche eterozigoti DF508, ma di questi nulla è stato anticipato): il miglioramento del FEV1 in circa la metà dei pazienti è eguale o superiore al 5% del dato iniziale ma in ben il 35% dei casi raggiunge o supera il 10%; nel test del sudore il cloro diminuisce (10 mEq cloro mediamente), in dipendenza anche dalla dose di Lumicaftor. E’ presto per dire se questa associazione di farmaci (correttore più potenziatore) sarà vincente e diverrà terapia per i malati portatori della più diffusa mutazione, ma ciò che i ricercatori ci hanno anticipato lascia intendere che siamo sulla strada buona. Va detto che entrerà in prossima sperimentazione clinica anche l’associazione di Ivacaftor con altro correttore, il VX-661. Mentre sono allo studio con promettenti risultati in alcuni laboratori, anche italiani, correttori e potenziatori alternativi e molecole che mettono insieme l’effetto potenziatore con quello correttore.
Dobbiamo invece segnalare risultati meno favorevoli ottenuti con altri studi clinici, peraltro molto attesi. Sono stati presentati i risultati definitivi di uno studio tedesco di fase III, multicentrico randomizzato in doppio cieco, sul glutathione (GSH), somministrato alla dose di 646 mg 2 volte al giorno con nebulizzatore e-Flow per 24 settimane. 73 erano i pazienti FC trattati con farmaco e 80 quelli che ricevevano placebo. Nessuna differenza tra farmaco e placebo è stata osservata per quando riguarda l’esito primario, il miglioramento di FEV1. Ma anche per altri parametri di efficacia (frequenza esacerbazioni, andamento del peso, marcatori di infiammazione ed altri ancora) nessuna differenza tra farmaco e placebo. Questo studio era stato sollecitato da persone malate e finanziato dall’Associazione germanica per la fibrosi cistica.
Sono stati presentati sommariamente anche i risultati conclusivi della fase in doppio cieco dello studio di fase III con Ataluren (PTC124) in pazienti con almeno una mutazione stop: 161 pazienti con farmaco e 161 con placebo. Alla fine dello studio (48 settimane), la differenza nel calo di FEV1 tra gruppo Ataluren e gruppo placebo era complessivamente del 3% (punti percentuali di FEV1) a favore di Ataluren: praticamente, il FEV1 del gruppo Ataluren diminuiva in media di 2,5 punti percentuali mentre il gruppo placebo diminuiva di 5,5 punti. La differenza non è significativa. Sorprendentemente, separando i pazienti che ricevevano contemporaneamente antibiotico per aerosol (quasi sempre tobramicina: erano circa il 50%) da quelli che non lo ricevevano, è risultata una significativa differenza a favore di Ataluren rispetto al placebo per i pazienti che non facevano trattamento antibiotico: la differenza era del 6,7% (riduzione declino FEV1 dello 0,2% con ataluren, del 6,9% con placebo). Questo rimane un aspetto problematico e lascia qualche dubbio sul vero effetto di Ataluren, che peraltro ha ottenuto una significativa riduzione delle esacerbazioni respiratorie rispetto al placebo. Nessuna differenza tra i due gruppi per gli effetti sul test del sudore e sul potenziale nasale. Va segnalato anche uno studio sul trattamento aerosolico con salina ipertonica in bambini inferiori ai 6 anni: non significativo effetto sulla funzione respiratoria, anche se trattamento ben tollerato. Confermato il seppur modesto beneficio dell’inalazione di mannitolo (bronchitolo) polvere secca su funzione respiratoria, peraltro non dissimile da quanto ottenuto con salina ipertonica in età superiore a 6 anni.
L’impressione complessiva raccolta da questo congresso è che molte cose si stanno muovendo nella direzione di interventi curativi efficaci per la fibrosi cistica, alcune con innegabile e incoraggiante successo, altre con risultati più modesti. Ma sappiamo che questo è il cimento della ricerca in questa malattia: si procede per tappe ed alcune tappe possono rivelarsi poco produttive, costringendo la ricerca a cercare vie alternative o a perfezionare quelle già sperimentate, ma imparando comunque, sia dai successi che dagli insuccessi, a scegliere i percorsi e le modalità di percorso con maggiore probabilità di risultati utili.