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14 Gennaio 2008

Diagnosi genetica prima dell’impianto dell’embrione se c’è rischio di grave malattia

G. Borgo

La legge 40/2004, che in Italia regola le attività sanitarie in tema di riproduzione assistita, contiene la norma secondo cui gli embrioni ottenuti attraverso fecondazione in vitro debbono essere trasferiti in utero senza essere sottoposti ad alcuna indagine genetica; e questa norma è stata finora ritenuta valida anche nel caso in cui i genitori abbiano un rischio elevato di trasmettere una malattia genetica grave, come per esempio la talassemia o la fibrosi cistica. Di recente però due sentenze emesse da giudici, rispettivamente del tribunale di Cagliari e del tribunale di Firenze, hanno espresso parere contrario alla norma e costituiscono importanti precedenti per una revisione della legge nei riguardi delle coppie portatrici di malattie genetiche (1).

Nel primo caso si è trattato (settembre 2007) di una sentenza emessa dal tribunale di Cagliari, che ha stabilito l’opportunità di sottoporre a diagnosi genetica gli embrioni di una coppia di portatori di talassemia. Il rischio di avere un figlio malato per una coppia di portatori di talassemia è del 25% ad ogni gravidanza, come nel caso della FC.

Nel secondo caso (dicembre 2007) a sollevare la questione è stata una coppia di Milano che si è rivolta ad un centro di fecondazione assistita di Firenze: la donna è portatrice di una grave malattia genetica, l’esostosi multipla, che porta ad un esagerato accrescimento delle cartilagini delle ossa, tale da compromettere durata e qualità di vita. Il rischio di avere un figlio malato è del 50% in ogni gravidanza. La coppia ha intrapreso un’azione legale sostenendo, attraverso il suo avvocato, che la legge 40 non stabilisce espressamente il divieto di eseguire un accertamento genetico prima dell’impianto dell’embrione; sono le linee guida emanate successivamente dalla commissione governativa autrice della legge a sostenere che le indagini non possono essere di natura genetica ma solo osservazionale e “morfologica”, cioè solo l’osservazione all’ultra-microscopio della morfologia (= forma e aspetto) delle cellule embrionali.

Il giudice del Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso, ritenendo illegittime (cioè non vincolanti con valore di legge) le linee-guida e ha “obbligato” il centro di fecondazione assistita fiorentino ad eseguire la diagnosi genetica sugli embrioni prima del loro impianto nell’utero della donna.

E’ possibile infatti identificare attraverso un’indagine genetica la presenza delle mutazioni del gene responsabile di esostosi multipla (EXT1 ed EXT2) e quindi lo stato di malattia anche in una cellula prelevata dall’embrione in terza giornata dalla fertilizzazione (quando è allo stadio di otto cellule).

Così è stato fatto, di modo che è stato trasferito in utero per l’impianto e l’avvio di una gravidanza solo l’embrione sano.

Informazioni sulla Legge 40/2004 si possono trovare su questo sito (nella sezione “Commenti di esperti”): “Legge 40/2004: norme che regolano la procreazione medicalmente assistita”.

1) Aduc -Notiziario Cellule Staminali No 156/2008 , http://staminali.aduc.it

14 gennaio 2008