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14 Aprile 2010

Documento di consenso su come andrebbe fatto lo screening del portatore FC in Europa

G.Borgo

Per iniziativa della Società Europea FC, nella primavera del 2009 si era tenuto sul lago di Garda l’incontro di un folto gruppo di esperti europei e nordamericani, allo scopo di confrontare idee e opinioni sul tema dello screening del portatore FC nella popolazione generale. Il prodotto di quell’incontro è questo documento (1) che, in maniera accurata ed esaustiva, prende in esame la questione dello screening del portatore FC analizzandone tre aspetti principali: quale sia la strategia migliore per un programma di screening, quale il test migliore, quale la comunicazione prima e dopo il test. Gli autori dicono chiaramente che lo scopo del documento non è quello di dire se lo screening del portatore FC nella popolazione generale sia da fare o no, perchè questa rimane una decisione che spetta alle singole nazioni o regioni, quanto piuttosto delineare uno “schema” a cui possano ricorrere quanti avranno il compito di pianificare un programma di screening e vorranno farlo nella maniera più ampia, efficiente ed efficace possibile.

A favore della scelta di realizzare lo screening generale del portatore FC possono essere addotti alcuni indubbi vantaggi: prima di tutto il fatto che le che le coppie di portatori possono, se lo vogliono, ricorrere alla diagnosi prenatale per avere figli sani; poi l’aumento della conoscenza diffusa della malattia; la rassicurazione delle coppie che risultano negative al test; e il messaggio positivo veicolato da una sanità che mostra di occuparsi della salute riproduttiva di tutta la popolazione. Ma non si possono dimenticare gli svantaggi: il rischio di discriminazione del portatore, a livello di sensazione soggettiva (sentirsi “diverso” e limitato nelle scelte riproduttive, per esempio da parte di chi non ha ancora un partner) o in termini oggettivi (per esempio, al momento di contrarre una polizza assicurativa); e, soprattutto, l’incerta situazione delle coppie formate da un portatore e un non portatore (coppie “a rischio intermedio”) che non hanno altre possibilità di calcolare la diminuzione del rischio di avere un figlio con FC.

Per quanto riguarda le strategie dello screening, gli esperti lasciano capire di propendere per un’ offerta che idealmente va fatta alle coppie in epoca preconcezionale, ma è accettabile anche quando fatta in epoca precocissima di gravidanza, perchè quello è il momento in cui l’interesse è maggiore. L’offerta diventa “mandatoria” (non si possono rifiutare) per i donatori di seme e le donatrici di ovociti, date le conseguenze che lo stato di portatore avrebbe nella pratiche, sempre più diffuse, della medicina riproduttiva. Importante il concetto che la decisione di avviare o no lo screening non può basarsi solo su ragionamenti economici: viene ricordato a questo proposito che di sei studi che affrontano questo aspetto, due dicono che lo screening, prevenendo la nascita di nuovi malati, fa risparmiare denaro, quattro dicono di no. Ma sul risultato incide molto il tipo di costi presi in esame, molto dissimili nei vari lavori. Netto parere contrario al test genetico fatto durante la gravidanza senza un’indagine precedente nei genitori (pratica chiamata “testing fetale”) e parere sfavorevole anche per il test nei “minori”.

Sul problema di “quale test”: fondamentale includere nel pannello di mutazioni CFTR indagate solo quelle che si sa per certo che danno malattia. Quindi, no alla ricerca di varianti del gene (ad esempio le varianti Poli-T) o di mutazioni che hanno significato incerto. Il numero di mutazioni indagate deve essere in grado di identificare almeno il 70% dei portatori, ottimale sarebbe che ne identificase il 90%. Tramonta, a detta di questi esperti, il sogno di un test unico che includa un numero grandissimo di mutazioni, la realtà che si profila (sempre più multietnica) orienta alla necessità di avere conoscenze e tecniche sempre più “specifiche” per il tipo di domanda: quindi, in prospettiva è necessario un maggior numero di pannelli di mutazioni diverse da applicare a seconda del background etnico (da quale regione o etnia proviene) del soggetto oppure alla necessità di approfondimento (che per esempio è molto spinta nel partner “negativo” delle coppie a rischio intermedio); così pure è importante prevedere laboratori dove questi test “personalizzati” possano essere compiuti. No al sequenziamento dell’intero gene, perchè c’è il rischio di identificare mutazioni CFTR dal significato ignoto e quindi di non poter fornire informazioni accurate alla coppia.

Infine, per la comunicazione: l’informazione pre-test può essere fatta attraverso materiale scritto (depliant o libretto), completo di numero telefonico per chi vuole un approfondimento, oppure attraverso la messa a disposizione di una pagina web ufficiale. Deve spiegare chiaramente i possibili risultati del test e le sue implicazioni (per esempio il concetto di “rischio residuo” in caso di negatività). Si può valutare anche la possibilità di utilizzare programmi web interattivi. Chi fornisce informazioni deve conoscere in maniera approfondita la FC, perchè è anche attraverso le notizie sulla malattia che il soggetto candidato al test può decidere se farlo o non farlo. Indispensabile il consenso informato al test. Dopo il risultato del test è indispensabile la risposta scritta individuale, che in caso di negatività informa sul “rischio residuo”. La risposta va mandata al curante che la trasmette agli interessati oppure contemporanamente al curante e agli interessati. Fortemente raccomandata la consulenza genetica per le coppie di portatori.

1) Castellani C et all “Benchmarks for cystic fibrosis carrier screening: A European consensus document”. Journal of Cystic Fibrosis. Epub 2010; Apr 1, PMID 20363197