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27 Agosto 2007

Gli effetti sui genitori di un risultato falsamente positivo dello screening neonatale FC

G. Borgo

Lo screening neonatale FC inevitabilmente comporta un piccolo ma non trascurabile numero di bambini “falsi positivi” al test della tripsina. Nell’esperienza inglese questo numero è contenuto in un range variabile fra lo 0.3% e lo 0.6% di tutti i bambini scrinati (1) ed è naturalmente superiore al numero di quelli che vengono poi effettivamente diagnosticati affetti da FC. La ricerca che commentiamo (2) è stata realizzata presso il Centro FC di Leeds, in Inghilterra, dove lo screening neonatale per FC è stato realizzato a partire dal 1975 e dove la procedura attualmente in vigore prevede il dosaggio della tripsina e l’indagine genetica. I ricercatori hanno voluto conoscere gli effetti psicologici e sociali che una diagnosi falsamente positiva allo screening neonatale FC comporta. Per far questo hanno sottoposto ad un’intervista i genitori dei bambini risultati falsi positivi presso il centro di Leeds nel periodo 1998-2002. Erano in tutto 36 bambini: sono stati disponibili all’intervista i genitori di 21 di loro. Per 14 mamme (67%) si trattava del primo o dell’unico figlio. Nessuna mamma aveva avuto questo tipo di risultato per altri figli e nessun genitore aveva storia familiare positiva per FC, anche se 4 (19%) conosceva o aveva conosciuto qualcuno con questa malattia.

L’intervista è stata realizzata a casa dei genitori da una psicologa “indipendente” (= non coinvolta nel programma di screening FC). I genitori hanno risposto alle domande che analizzavano 6 tappe dello screening: il prelievo di sangue per il dosaggio della tripsina, la comunicazione del primo risultato, la ripetizione del prelievo, l’attesa per il secondo risultato, la sua comunicazione, e gli effetti a distanza dopo aver saputo con certezza che il bambino non era affetto da FC. Le domande erano mirate a conoscere le loro reazioni e i loro sentimenti nel corso della procedura, e inoltre a raccogliere valutazioni sull’adeguatezza del servizio di screening (“identificare gli elementi favorevoli della pratica in corso”) e a fornire suggerimenti per migliorarlo laddove risultava carente.

La procedura di screening esaminata è molto simile a quella realizzata nella maggior parte delle regioni italiane sul piano tecnico (dosaggio della tripsina, ripetizione se elevata, indagine genetica per ricerca delle mutazioni del gene CFTR e naturalmente test del sudore), ma è molto diversa sul piano organizzativo: infatti a Leeds un’infermiera generica (Health Visitor o HV , visitatrice di salute, che svolge abitualmente un programma di visite a domicilio dopo la dimissione del bambino dalla maternità), comunica il primo risultato della tripsina e il suo significato. Solo il 57% dei genitori ha detto che le informazioni ricevute da questa Health Visitor sono state sufficienti.

All’infermiera generica HV subentra un’infermiera specializzata in FC che va a casa ad eseguire il secondo prelievo di tripsina e a dare le informazioni relative. Il 90% dei genitori si è dichiarato soddisfatto di questo intervento e delle informazioni ricevute.

I sentimenti che i genitori hanno descritto come caratteristici del periodo d’attesa del risultato definitivo sono stati molto vari (“tentativo di comportarsi come sempre”, oppure modalità del tutto diverse: senso di colpa, ricerca di altre informazioni, “immaginarsi il futuro con un bambino affetto da FC”). Soprattutto, la maggior parte dei genitori ha ricordato di aver adottato un atteggiamento di “ipervigilanza”, alla ricerca di sintomi e segni di malattia FC. Tutti hanno ricordato quel periodo come “estremamente difficile”, ma hanno anche detto di non averne riportato conseguenze psicologiche. Gli autori dello studio invece si chiedono se alcuni tratti, quali quello di un comportamento “ipervigilante”, non possano in realtà rimanere e connotare anche in seguito il rapporto con il bambino risultato falsamente positivo allo screening, e suggeriscono una ricerca ulteriore in questo campo.

Infine i suggerimenti forniti dai genitori per migliorare il servizio di screening FC:

1) Informare, ancora prima del parto, dell’esistenza dello screening FC e della possibilità che dia risultati sia positivi che falsi positivi. Meglio le informazioni scritte, più utili da consultare e rileggere, rispetto a quelle orali .

2) Dare informazioni realistiche sui tempi necessari per avere il risultato del secondo prelievo di tripsina o delle indagini genetiche (il suggerimento è molto circostanziato e invita a tener conto tempi conto dei tempi degli week-end, delle ferie e così via). Evidentemente il rimandare il risultato ad una data imprecisa o a più riprese, differita, aumenta l’ansia dell’attesa.

3) Dare chiare ma limitate informazioni essenziali sui segni e sintomi della FC nel lattante, in modo da contenere la tendenza dei genitori all’ipervigilanza

4) Ridurre naturalmente il più possibile il tempo d’attesa del risultato definitivo della procedura

5)Avere la diagnosi definitiva (in questo caso è una diagnosi di “non malattia”!) il prima possibile, quindi va bene anche per telefono, però meglio se fornita sempre dalla stessa persona (infermiera specializzata FC) con cui si sono tenuti i contatti in quel periodo.

1) UK Newborn Screening Programme Centre.www.newbornscreening-bloodspot.org.uk 2005: “nformation for parents”

2) Moran J et all “Newborn screening for CF in a regional paediatric centre: the psychosocial effects of false positive IRT results on parents” Journal of Cystic Fibrosis 2007; 6:250-54

27 agosto 2007