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31 Gennaio 2009

Breve storia dell’identificazione del gene CFTR

Autore: Teresa
Argomenti: Varie
Domanda

Sono una studentessa della facoltà di scienze biologiche. Mi interessa sapere come è stato isolato il gene della FC, in particolare quali tecniche sono state adoperate. Grazie

Risposta

Fin dai primi anni ’80 alcuni gruppi di ricerca, tra cui quello di B. Williamson di Londra, tentarono di identificare il gene della FC utilizzando la tecnica della “genetica inversa” (Riverse genetics) che, a differenza della genetica classica, studia una proteina a partire dal gene. Il punto di partenza di questo tipo di indagine è l’analisi di “linkage”. In poche parole, quando si sa che nel genoma, l’intero patrimonio genetico costituito dalla totalità del DNA, esiste un gene la cui mutazione determina una malattia ma non se ne conosce la localizzazione cromosomica, si fa riferimento al principio della “associazione e indipendenza” dei geni. Se due geni sono localizzati sullo stesso cromosoma, sono cioè associati, tendono ad essere trasmessi insieme e raramente, se sono molto vicini, possono essere separati dal fenomeno del “crossing-over” o “ricombinazione all’elica” (è lo scambio di piccole porzioni di DNA nelle coppie di cromosomi, tra cromosoma di origine paterna e cromosoma di origine materna, che avviene durante la maturazione dei gameti destinati alla fecondazione). Dunque, mediante l’analisi di “linkage”, si cerca di scoprire se nella famiglia in cui è presente la malattia causata da un gene sconosciuto, questo è associato ad un gene marcatore noto e a localizzazione cromosomica nota. In genere per questo tipo di analisi si ricorre alla determinazione di parametri statistici come il “lod-score” che è funzione della frazione di ricombinazione e misura l’affidabilità di una stima di associazione fra due marcatori genetici.

Il marcatore genetico può essere un gene che si trasmette come carattere mendeliano: esso deve poter essere analizzato nelle varie generazioni ed è caratterizzato da varianti di sequenze, polimorfismi, analizzabili con diverse tecniche molecolari (RFLP, SNPs, microsatelliti). In poche parole, un gene marcatore permette di seguire indirettamente in una famiglia la trasmissione di un carattere o di un “locus” (si chiama così il tratto di DNA che corrisponde ad un gene) ad esso associato; è come una bandierina posta sulla sequenza del DNA che interessa esaminare. Usando questo approccio, nel 1982 i gruppi di ricerca di L.C. Tsui a Toronto e R. White nell’Utah, cominciarono a cercare marcatori genetici legati al gene della FC, analizzando il sangue di molte famiglie che avevano figli malati di FC. A novembre 1985 i diversi gruppi di ricercatori fornirono le evidenze basilari della corretta mappatura del gene della FC sul cromosoma 7, dimostrando uno stretto “linkage” (associazione) tra FC ed il locus codificante per l’enzima parossonasi (PON) e il marcatore molecolare DOCRI-917, definendo così il primo gruppo di associazioni del gene FC. Verso la fine dello stesso anno, B. Williamson e R. White collegarono alla FC altri due marcatori noti del cromosoma 7, l’oncogene Met e la sonda pJ3.11 (due porzioni di DNA, di cui la seconda non è un gene). In tal modo veniva sempre più ristretta l’area di mappa del locus FC sulla banda 7q31-32 del cromosoma 7. Da questa regione negli anni ’86-87 sono stati isolati numerosi marcatori in stretto “linkage disequilibrium” (associazione allelica preferenziale) con il gene FC. Ma c’era ancora molto da lavorare! Infatti, per avvicinarsi il più possibile al gene malattia, i ricercatori non sapevano quale direzione prendere sul cromosoma, se a destra o a sinistra del marker, o in mezzo. Per trovare una risposta avevano bisogno di un gran numero di famiglie da analizzare, che avessero sia figli malati che non malati. Nessun gruppo di ricerca poteva più lavorare da solo e dunque decisero di mettere in comune i dati di 211 famiglie.

Si trattava di provare a “camminare” lungo il cromosoma 7 fino a raggiungere la sequenza bersaglio. La tecnica del “chromosome walking” prevede l’utilizzo di una sonda, frammento di DNA marcato con precursori radioattivi capace di riconoscere una sequenza nota, che viene fatta ibridare con una libreria di DNA genomico, cioè una collezione di tutto il DNA umano tagliato in migliaia e migliaia di pezzi di circa 10.000 basi ciascuno, inseriti in vettori particolari (cosmidi). Di tutti i cloni ibridati si sceglie quello legato alla sonda di maggiore lunghezza; di quest’ultimo ibrido, una parte sarà sovrapposta e l’altra, non appaiata, si estenderà oltre. Quest’ultima regione non ibridata viene sequenziata, cioè analizzata pezzo per pezzo ed usata a sua volta come sonda per il secondo tentativo di screening. Si ripete quindi lo stesso percorso e attraverso passi successivi è possibile muoversi da un sito di partenza, fino a 200Kb di distanza, per raggiungere il gene malato. In poche parole, per i genetisti, camminare lungo il cromosoma, significa usare frammenti di DNA che si sovrappongono parzialmente per spostarsi verso il gene target un po’ alla volta, analizzando ciascun frammento per vedere se è stato ereditato con la malattia. Questo lavoro richiedeva tempi biblici, considerando anche alcune difficoltà costituite dalla presenza di sequenze ripetute. F. Collins allora escogitò una tecnica che permetteva di abbreviare i tempi. Si trattava non di camminare, ma di “saltare” lungo il cromosoma (“chromosome jumping”). La tecnica prevede di saltare da un punto all’altro del cromosoma portando l’una accanto all’altra due sequenze che si trovano nel genoma ad una distanza di qualche centinaio di chilobasi. Per saltare lungo il cromosoma si usano librerie di speciali cloni di DNA, i cui inserti sono composti da pezzi di DNA saldati tra loro (circolarizzati) ma che originariamente non erano contigui. La circolarizzazione artificiale era ottenuta con l’uso di grossi frammenti di restrizione (ottenuti con tagli del DNA operati da uno speciale enzima). I salti riusciti lungo il cromosoma nella regione candidata hanno fornito nuovi punti di partenza per continuare a camminare, finchè la maggior parte della regione non è stata “riempita” da cloni di DNA. Ibridando una enoteca (biblioteca di geni) con la sonda che rappresenta un frammento di DNA già clonato, si possono trovare cloni che contengono, oltre al frammento stesso, frammenti che si trovano a 100 Kb di distanza. Per riempire il “vuoto” tra due frammenti, quello originario ed il nuovo, si utilizza una genoteca di raccordo. Successivamente ciascun frammento di DNA usato per “camminare” o “saltare”, fu confrontato con il DNA di altre specie animali. Tsui e Collins trovarono una forte corrispondenza con sequenze di pollo, gatto e vacca; dunque il frammento era importante, in quanto “conservato” in diverse specie.

Infine J. Riordan, biochimico di Toronto, trovò una corrispondenza tra una piccola parte di un frammento conservato ed il messaggio genetico in cellule delle ghiandole salivari che si sapeva essere coinvolte nella FC. Il frammento inoltre era espresso in diversi tessuti di pazienti affetti. Numerosi laboratori cominciarono a sequenziare per verificare la differenza tra DNA di cellule normali e FC. Nel giugno del 1989, Collins e Tsui identificarono una piccola mutazione in un particolare frammento di DNA che era presente nel 70 % dei cromosomi di pazienti FC, ma assente in cromosomi normali. Si trattava di una microdelezione di tre nucleotidi che comportavano la perdita di un residuo aminoacidico di fenilalanina in posizione 508, di quella che più tardi sarebbe stata riconosciuta come proteina CFTR. Il lavoro fu pubblicato su Science l’8 settembre 1989 dal team guidato da Tsui, Collins e Riordan che definivano il gene “for the convenience of future discussion and to avoid confusion with the previously named CF protein and CF factor”, “Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator” (CFTR).

La clonazione del gene CFTR rappresenta la tappa fondamentale della fusione tra genetica di popolazione e genetica molecolare, che oggi è alla base della ricerca sulle cause di numerose malattie.

– Eiberg H et Al. Linkage relationship of paraoxonase with other markers: indication of PON-cystic fibrosis synteny. Clin. Genet. 1985b; 28:265

– Wainwright B J, et Al. Localization of cystic fibrosis locus to human chromosome 7 cenq 22. Nature 1985; 318: 384

– White R, et Al. A closely linked genetic marker for cystic fibrosis. Nature 1985b; 318: 382

– Tsui L, et Al. Genetic analysis of cystic fibrosis using linked DNA markers. Am. J. Hum. Genet. 1986;39: 720

– Riordan JR, et Al.. Identification of the cystic fibrosis gene: cloning and characterization of complementary DNA. Science 1989 sep. 29; 245(4925): 1437

– Rommens J, et Al. Identification of the cystic fibrosis gene: chromosome walking and jumping. Science 1989 sep. 8;245(4922): 1059-65

– Kerem B, et Al. Identification of the cystic fibrosis gene: genetic analysis. Science 1989 sept 8; 245(4922): 1073-80

Nota redazionale. Questo tema riguardante la scoperta del gene della fibrosi cistica è certamente di difficile comprensione per chi non ha già qualche conoscenza di biologia molecolare, come immaginiamo abbia la studentessa che ci ha posto la richiesta. La Dr.ssa Santostasi ha fatto del suo meglio per sintetizzare in modo chiaro il complesso e lunghissimo lavoro dei biologi molecolari negli anni ’80, tuttavia abbiamo consapevolezza che per il lettore comune dovremmo adottare un criterio divulgativo ancora più semplice, cosa che, se si esprimeranno curiosità in merito, potremmo fare in futuro.

Dr Teresa Santostasi, Biologa presso Laboratorio di genetica Molecolare, Centro FC di Puglia, Bari


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