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29 Marzo 2016

Gli impossibili costi dei nuovi farmaci e la questione dei brevetti farmaceutici

Autore: G.
Argomenti: Varie
Domanda

Buongiorno. In una puntata di “Presa Diretta” (Rai 3) si parlava dei brevetti farmaceutici, nello specifico di quello del nuovo farmaco per l’epatite C, che in Italia è disponibile solo per pazienti con fegato già compromesso. Questo prodotto ha dei costi molto elevati per il Sistema Sanitario Nazionale, come evidenziato dall’inchiesta giornalistica, non giustificati da spese di ricerca. L’India ha deciso di rendere disponibile a tutti i malati questa medicina, non concedendo il brevetto alla casa farmaceutica, in modo che tutte le aziende possano produrre il farmaco a costi bassissimi per lo Stato. Siccome anche noi pazienti di fibrosi cistica rischiamo di vivere la stessa beffa (a dir poco) che oggi subiscono i malati italiani di epatite C, vorrei chiedere quando un Governo può decidere di rendere pubblico un brevetto farmaceutico, al di fuori delle clausole speciali concesse ai Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Cordiali saluti.

Risposta

Questa domanda solleva un problema cruciale, su cui da tempo c’è ampio dibattito. I costi elevati dei nuovi farmaci (si pensi non solo al farmaco per l’epatite C ma anche a nuovi farmaci antitumorali, oltre a quelli per la fibrosi cistica), hanno in parte la giustificazione che la ricerca e lo sviluppo di quei farmaci sono in effetti molto costosi. Incide però largamente sul costo il profitto che un’azienda farmaceutica deve ricavare dalla vendita del farmaco. Tale profitto ha in linea di massima due ragioni: una è che i costi per la ricerca e la produzione del farmaco sono stati sostenuti da azionisti che vi hanno investito i loro capitali, affrontando il rischio dell’operazione (molti farmaci non arrivano al mercato perché alla fine del lungo iter di ricerca non si sono dimostrati validi o sicuri) e gli investitori si aspettano di guadagnare dal loro investimento. Vi sono poi i costi (e i profitti) derivanti dalla distribuzione del farmaco, che possono essere variabili da nazione a nazione ma spesso sono consistenti. Ma sappiamo anche che, pur tenendo conto di queste ragioni, il prezzo finale rimane eccessivo. E’ certamente il caso dei nuovi farmaci per la terapia del difetto di base FC: kalydeco e orkambi e forse per quelli che presto verranno.

L’azienda che scopre e produce un farmaco originale, come si sa, è protetta dal brevetto su quel farmaco: il brevetto le consente di essere la sola che può produrre e commerciare quel farmaco e pertanto ne può decidere il prezzo secondo la propria convenienza e le regole del mercato. E in questo caso è un mercato che si gioca sul monopolio, almeno fino a che altri non riescano a produrre un farmaco alternativo con lo stesso obiettivo terapeutico. I brevetti sono regolati da norme internazionali che impegnano rigorosamente le persone fisiche, le aziende e gli stati a rispettarli: non dipende dai singoli stati e relativi governi decidere la durata di un brevetto o la sospensione autonoma dello stesso. La comunità internazionale ha concordato di liberalizzare dal brevetto alcune nazioni “in via di sviluppo”: l’India è appunto una di queste e può produrre in proprio quel farmaco (questo almeno per quanto riguarda il sofosbuvir per l’epatite C), che rimane però riservato solo ai suoi cittadini.

Esiste una soluzione al problema? E’ evidente che tale problema compone insieme ragioni industriali e ragioni etiche e sociali. Fino a questo momento non vediamo l’industria farmaceutica molto propensa a far pesare troppo le ragioni etico-sociali, anche se ne ha piena consapevolezza: del resto, senza la prospettiva di un adeguato ritorno economico, l’industria sarebbe poco motivata a scoprire e produrre farmaci innovativi, ed è l’industria che oggi ha in mano le leve tecniche e finanziarie per una tale impresa. Le agenzie degli stati possono giocare sulla contrattazione: alcuni stati rimediano un buon contenimento dei prezzi, altri meno. Nel caso della fibrosi cistica, è di questi giorni la notizia che l’Inghilterra non ha per il momento approvato il farmaco orkambi, per il suo costo eccessivo e per la mancanza di benefici rispetto a trattamenti già esistenti. E’ evidente che la prospettiva ideale sarebbe teoricamente quella che gli stati si assumessero in proprio l’onere di condurre ricerca e sviluppo di nuovi farmaci con le risorse dei contribuenti. Questa al momento rimane un’ipotesi molto vicina all’utopia, perchè l’investimento di una tale mole di risorse sarebbe tale da compromettere la sostenibilità economica di una comunità nel suo complesso. Tuttavia, questa è una direzione cui alcuni stati o una comunità di stati (vedi Comunità Europea ad esempio) potrebbero tendere anche con interventi parziali. Una visione politica che al momento ci trova impreparati e sostanzialmente frustrati. In questa direzione si sta muovendo anche questa Fondazione con il suo progetto di nuovi correttori e potenziatori di CFTR Task Force for Cystic Fibrosis, progetto che potrà avere una sbocco verso applicazioni cliniche se le risorse che i cittadini mettono volontariamente a disposizione per questo potranno efficacemente accoppiarsi ad alcune risorse dello stato italiano, che ci sono (vedi fondi per la ricerca della legge 548/93 ed altro).

Questa tematica è già stata più volte affrontata su questo sito: si veda ad esempio “Gli esorbitanti costi del kalydeco” (Domanda del 5.04.14) oppure nel Notiziario FFC n.39, a pag 6, “Caro farmaco. Dibattito sul prezzo del kalydeco”.

G. M.


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