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9 Settembre 2009

Il laboratorio di microbiologia a servizio della clinica

Autore: Assunta
Argomenti: Batteri, Pseudomonas
Domanda

Vorrei sapere, dal punto di vista microbiologico, quali sono le indagini di laboratorio che vanno eseguite per poter diagnosticare la presenza di Pseudomonas aeruginosa. Inoltre, in che modo la microbiologia può venire incontro alle richieste del clinico. Potete consigliarmi un valido testo che contenga le indagini microbiologiche da eseguire per l’isolamento di P. aeruginosa in FC? Grazie.

Risposta

Per diagnosticare, dal punto di vista microbiologico, la presenza di P. aeruginosa nei campioni respiratori dei pazienti con fibrosi cistica il classico approccio colturale deve essere necessariamente integrato in modo specifico. Linee guida che descrivono per tale specifico approccio sono state pubblicate a livello internazionale (Saiman et al. Am J Infect Control. 2003 May; 31(3 Suppl):S1-62) ed anche a livello italiano (sul sito nazionale della SIFC: www.sifc.it è possibile scaricare le linee guida redatte dal Gruppo dei Microbiologi Italiani che si occupano di fibrosi cistica).

In sintesi, accorgimenti metodologici mirati sono necessari a causa della lenta crescita che caratterizza alcuni ceppi di P. aeruginosa (denominati anche: “small colony variant“, ossia varianti con crescita molto lenta, caratterizzate da una colonia molto piccola) isolati dai campioni FC, per cui è necessario protrarre l’incubazione delle piastre di terreni specifici oltre le canoniche 48 ore.

Un altro punto chiave è infatti la variabilità fenotipica che caratterizza P. aeruginosa quando colonizza il tratto respiratorio nei pazienti con FC. Questo patogeno dà origine a colonie di aspetto molto diverso, che sono in genere caratterizzate da una diversa sensibilità agli agenti antimicrobici. E’ quindi necessario che il microbiologo ponga un’attenzione particolare nell’ isolare, segnalare ed eseguire separatamente i test di chemiosensibilità di tutte le varianti di P. aeruginosa che si osservano dalla semina di ogni singolo campione (sono state documentate fino a 6 diverse varianti fenotipiche per P. aeruginosa). Alcune varianti come quella mucoide sono caratteristiche dell’evoluzione cronica della malattia polmonare e la loro segnalazione può indirizzare il clinico verso un diverso approccio terapeutico, ad esempio iniziare una terapia antibiotica cronica di mantenimento.

E’ inoltre rilevante la tecnica con cui viene effettuato il test di chemiosensibilità; molti laboratori utilizzano infatti metodi automatizzati che non sono affidabili per testare la suscettibilità agli antibiotici di P. aeruginosa ed in particolare delle varianti mucoidi. A tale proposito le indicazioni della letteratura sono univoche, indicando come metodo di riferimento per testare la chemiosensibilità di P. aeruginosa la tecnica manuale di diffusione da disco (metodo di Kirby Bauer).

Quanto descritto è indispensabile per un approccio diagnostico di base, tuttavia esistono altri tipi di indagini che possono essere di notevole importanza clinica, ma che non tutti i laboratori di microbiologia possono eseguire:

– Nel caso di ceppi di P. aeruginosa multiresistenti è possibile eseguire un test per verificare in vitro l’effetto di associazioni di farmaci (si può valutare se c’è sinergia, indifferenza o antagonismo). Tale test può costituire un’indicazione terapeutica aggiuntiva.

– Per monitorare l’infezione polmonare da P. aeruginosa possono essere molto utili i test immunologici che rivelano la presenza di anticorpi circolanti diretti verso antigeni specifici di P. aeruginosa (esistono in commercio kit specifici per eseguire questi test). Classicamente la presenza di tali anticorpi segna il passaggio alla fase cronica dell’infezione e può quindi avvalorare il dato colturale che basa la definizione di cronicità sull’isolamento continuativo per 6 mesi del germe dai campioni respiratori. Dati recenti indicano inoltre che gli anticorpi anti P. aeruginosa possono supportare il monitoraggio della terapia eradicante della prima colonizzazione da P. aeruginosa. Sembra infatti che in alcuni casi la risposta anticorpale specifica preceda l’isolamento di P. aeruginosa nelle vie respiratorie. L’incremento del titolo anticorpale potrebbe quindi costituire un efficace campanello di allarme per aumentare la frequenza degli esami colturali e giungere tempestivamente ad isolare il patogeno dalle vie aeree.

– Possono infine essere di utilità per il clinico i test molecolari. Questo approccio può avere un’importante applicazione per confermare l’identificazione di P. aeruginosa nei casi di difficile identificazione biochimica (in questo caso si verifica la presenza di geni specifici per P. aeruginosa amplificando con reazione polimerasica a catena un particolare frammento genico). Un’altra applicazione dei test molecolari è in campo epidemiologico; è infatti possibile, all’interno di batteri della stessa specie identificare i singoli ceppi in modo da valutare le possibili vie di trasmissione. Tramite tali tecniche sono state documentate e monitorate le epidemie di ceppi particolarmente virulenti di P. aeruginosa (ad esempio i ceppi epidemici di Liverpool e Manchester ).

In conclusione, è molto importante il dialogo fra microbiologo e clinico. L’approccio al paziente FC è multidisciplinare e le problematiche microbiologiche devono essere discusse direttamente con il laboratorista. Il microbiologo può infatti prendere atto della situazione clinica e instradare il clinico nel richiedere il test appropriato e nell’interpretazione ottimale del referto.

Il campo della microbiologia FC è particolarmente complesso e quindi il clinico deve essere consapevole che il proprio laboratorio può non essere in grado di eseguire tutti gli approcci diagnostici, a tale finalità esistono infatti laboratori di riferimento. Anche in questo caso il dialogo è essenziale affinchè il clinico comprenda quali esami possono essere effettuati dal proprio laboratorio e quando invece, nell’interesse del paziente e per ottimizzare le risorse, è necessario ricorrere ad un laboratorio esterno di riferimento.

Dr.ssa Silvia Campana, Laboratorio Microbiologia, Centro Regionale Toscano Fibrosi Cistica, Osp. Meyer, Firenze


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