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24 Gennaio 2010

Insufficienza respiratoria e anidride carbonica

Autore: Michele
Domanda

Se il polmone non riesce più a buttare fuori l’anidride carbonica che si può fare allora?

Risposta

La condizione citata nella domanda corrisponde all’insufficienza respiratoria: alterazioni importanti del polmone impediscono che avvengano a livello degli alveoli polmonari gli scambi gassosi con il sangue, quelli che normalmente consentono l’ingresso di ossigeno e l’uscita di anidride carbonica. Un primo livello di insufficienza respiratoria consiste nella difficoltà di far entrare nel sangue abbastanza ossigeno: si parla di ipossiemia o di insufficienza respiratoria “ipossiemica”. Un livello più importante comporta che, oltre alla difficoltà di ossigenazione, vi sia difficoltà più o meno seria di eliminazione di anidride carbonica: si parla di insufficienza respiratoria “ipercapnica”. In questo caso i livelli di anidride carbonica nel sangue salgono e creano problemi a vari organi, fino a mettere a rischio la vita quando diventano altissimi. Nella fibrosi cistica l’insufficienza respiratoria ipercapnica raramente può manifestarsi in modo acuto con polmoni abitualmente in discrete condizioni (può essere il caso di una bronchiolite o di una broncopolmonite acuta in un bambino piccolo). Più comunemente l’insufficienza respiratoria accompagna gli stadi avanzati della malattia polmonare FC: dapprima con sola ipossiemia e gradualmente anche con incremento di anidride carbonica nel sangue (ipercapnia). A questa condizione cronica di insufficienza respiratoria l’organismo della persona con FC si adatta in genere ragionevolmente anche per anni, anche se possono verificarsi episodi di esacerbazione con punte di elevazione dell’anidride carbonica. Il trattamento antibatterico delle esacerbazioni, in genere, accompagnato da un rinforzo della fisioterapia per la disostruzione bronchiale, tengono sotto controllo l’eccesso di ipercapnia. Quando questa raggiunge livelli eccessivi si può ricorrere all’impiego di un supporto ventilatorio: si tratta della cosiddetta ventilazione meccanica non invasiva, che consente di sollevare i muscoli del respiro (indeboliti dallo sforzo continuo) e di introdurre nei polmoni aria mista ad ossigeno utilizzando una pressione inspiratoria positiva, cui si può associare una pressione lievemente negativa nella fase espiratoria che favorisce lo svuotamento. Per questo, c’è uno strumento pompa che si applica con una maschera su bocca e naso. Per situazioni più serie si ricorre alla ventilazione meccanica invasiva: la macchina che ventila il polmone viene collegata con un tubo inserito direttamente in trachea. A questo intervento estremo si ricorre soprattutto, in caso di grave esacerbazione, nei pazienti che sono stati posti in lista d’attesa per il trapianto polmonare bilaterale, soluzione radicale, quando realizzabile, per le situazioni di insufficienza respiratoria irreversibile. Esiste oggi anche una macchina che consente, per un breve periodo, di “lavare” il sangue da un eccesso di anidride carbonica: il sangue viene fatto passare attraverso un “filtro” per essere quindi reimmesso nel circolo dopo purificazione. Anche questo è un intervento che si riserva di solito alle situazioni critiche in attesa di trapianto polmonare.

G.M.


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