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4 Aprile 2011

Polveri sottili in ambiente di lavoro d’ufficio e fibrosi cistica

Autore: Silvia
Argomenti: Lavoro, Varie
Domanda

Buongiorno, sono affetta da FC, e lavoro come impiegata in un ufficio commerciale. A meno di un metro da me è posta la stampante laser del reparto, che lavora ogni giorno a pieno regime. So che questo tipo di stampanti emettono polveri sottili. Esistono studi specifici riconosciuti sulla pericolosità di queste emissioni? Se sì, essendo assunta con la legge 68/99, ho diritto a chiedere una postazione almeno non “attaccata” alla stampante (lavoro in un open space nel quale al momento esistono due postazioni libere più distanti dalla stampante). Grazie mille.

Risposta

Stampanti e fotocopiatrici laser comportano l’emissione di ozono e di polvere di carbonio. Ai fini preventivi, quando si tratta di macchine che funzionano continuamente, il consiglio è di posizionarle in ambienti separati, ove non vi siano lavoratori in maniera permanente, altrimenti (per lavorazioni non industriali) le macchine potrebbero essere posizionate in un corridoio, ventilato, in prossimità della finestra.

I livelli di inquinamento dell’aria derivanti da queste macchine, normalmente, non sono tali da superare i limiti indicati per gli ambienti di lavoro, comunque definiti per persone sane, né mi risultano casi di patologia professionale dovuta a questa causa.

Occorrerebbero delle misure per una valutazione specifica del problema, anche in relazione alla condizione oggettiva dell’ambiente di lavoro (ventilazione, aperture, dimensioni, ecc) ed al carico di lavoro.

Tuttavia, dubito che convenga percorrere questa strada. Conviene invece partire dal dovere del datore di lavoro di assicurare un comportamento di prudenza (art. 2087 del codice civile); nel caso della domanda, significa allontanare dall’esposizione la lavoratrice (considerata la malattia di cui soffre), a prescindere dalle concentrazioni di inquinamento, in quanto si tratta comunque di agenti chimici nocivi per l’apparato respiratorio. Se previsto, il medico competente deve essere il primo interlocutore della lavoratrice per affrontare il problema (la competenza si estrinseca nel leggere il rapporto salute – ambiente di lavoro e nel fornire al datore di lavoro le informazioni finalizzate al dovere da assolvere), altrimenti, la lavoratrice dovrebbe presentare direttamente al datore di lavoro la richiesta di considerare il problema e le possibili alternative (eventualmente con un certificato medico di sostegno). Infine, la lavoratrice può chiedere alla commissione art. 68 di valutare l’idoneità del lavoro cui è adibita, stante le sue condizioni di salute. Proprio da ultimo, la lavoratrice può rivolgersi all’organo di vigilanza (Spisal), ma è proprio l’ultima soluzione a fronte di un problema ritenuto importante, in quanto determina uno stato conflittuale con il datore di lavoro.

Dr Luciano Marchiori, (Medico del Lavoro, Dirigente Regione Veneto)


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