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20 Ottobre 2010

Quando e come dire al figlio

Autore: Lucia
Argomenti: Vivere con FC
Domanda

Ho un figlio di 10 anni affetto da fibrosi cistica e non ha mai avuto grossi problemi, tanto che neanche lui se ne rende conto ed infatti ancora non sa di essere malato. Non so se ho fatto la giusta cosa a non informarlo finora, so solo che ora mi viene sempre più difficile dirglielo. Sa solo che prende gli enzimi perchè non digerisce bene e quindi per una sua giusta crescita. Come posso dirglielo? E’ il caso di affidarmi ad un psicologo?

 

Risposta

Si può affrontare il problema con gradualità, se si condivide l’idea (molto radicata in chi risponde) che sia meglio parlare al figlio in termini più chiari possibili. Per prima cosa forse sarebbe meglio chiedere un colloquio ai medici del Centro che lo segue: per avere un aggiornamento sulla sua situazione generale, sul programma di cure, sulle prospettive per il futuro. Questo perché succede non raramente che se il bambino/ragazzo ha una forma “benigna” di malattia, i genitori adottino piccole o grandi strategie di “evitamento” del problema di fondo, e cioè la diagnosi di fibrosi cistica, fatta magari quando il figlio era piccolo, ma, nonostante il passare del tempo, ancora estranea alla vita della famiglia e del bambino stesso. Riparlare con i medici, passate le fasi drammatiche delle comunicazioni iniziali, può aiutare a mettere a fuoco che non tutte le forme di FC sono uguali, che forse qualche accertamento o controllo in più andrebbe fatto, ma che comunque l’evoluzione è buona e si può guardare con fiducia al futuro. In pratica, comporta per i genitori stessi confrontarsi di nuovo con la diagnosi. Quanto più i genitori riescono a progredire in questo percorso, riescono ad immaginare un futuro possibile “anche e con” la presenza della malattia, tanto più facile può essere parlare al bambino. Bisogna parlargliene con quella che viene chiamata “attitudine positiva” , vale a dire chiarezza sulle domande cruciali e nello stesso tempo ottimismo e fiducia. Ma questo non è possibile se è lo stesso genitore a sentirsi a disagio nel pronunciare certi termini e soprattutto quello che può suonargli come un verdetto senza appello, e cioè il nome della malattia “fibrosi cistica” .

Ecco che, eventualmente, lo psicologo può aiutare prima il genitore e in un secondo momento, solo se lo valuta necessario, il bambino. Su questo argomento si consiglia la lettura del paragrafo dedicato (pag 65-66) nel libretto “Fibrosi cistica: parliamone insieme – I primi anni e l’età della scuola“, edito a cura della Fondazione. E’ pubblicato e scaricabile dal sito nella sezione “Materiali informativi”, e si può richiedere direttamente alla segreteria della Fondazione FFC (fondazione.ricercafc@ospedaleuniverona.it).

 

G. Borgo


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