Sei in Home . Informati . Domande e Risposte . Quando l’affidarsi a cure alternative mette a rischio la vita di un malato

8 Novembre 2012

Quando l’affidarsi a cure alternative mette a rischio la vita di un malato

Autore: Silvana
Domanda

Anni fa, mi rivolsi ad un medico omeopata per avere indicazione su qualche rimedio complementare alla cura della fibrosi cistica, dato che sapevo che altri con la stessa patologia li stavano già sperimentando. Il medico omeopata, ci consigliò di provare una alimentazione priva di alcuni elementi che a suo parere potevano favorire l’aumento di muco (in primis il latte e i grassi animali), una laboriosa alternanza di alimenti da non ripetersi durante l’arco della giornata, una eliminazione degli zuccheri perchè “infiammatori “. Era sua opinione che la FC fosse da paragonarsi ad una “allergia” a questi alimenti, e come tale andava curata.

Fuori dal suo studio mi chiesi se questo medico fosse uno scemo o prendesse per scemi i suoi pazienti.

A onor del vero, non mi disse di abbandonare le terapie del centro FC, nè di interrompere il Creon ( ma non si pose neanche il problema se avesse di fronte una persona con sufficienza o non sufficienza pancreatica). Ma il fatto che non avesse neanche rammentato la possibilità che esistessero delle cure diverse dalle sue, fatte in centri ad hoc, denunciava secondo me la sua malafede. Voglio dire, noi malati o genitori di malati, ipoteticamente caduti ieri giù da un pero, di fronte ad un camice bianco, tendiamo a prendere per buono quello che ci viene detto. E io potevo affidarmi a lui prendendo per buono il suo sapere come fosse l’unico.

Ho saputo che una coppia di genitori ha affidato alle “cure” di un medico del genere il proprio figlio. Dopo la diagnosi il piccolo è stato seguito per pochi anni in un centro FC, poi più nessuna terapia. Niente creon perchè secondo il nuovo medico bastava non avere grassi da assimilare, niente antibiotici (o al limite in dosi ridotte anche per uno sano ) per curare le infezioni polmonari, niente fisioterapia. Sembra che i genitori fossero convinti che andasse tutto bene. Del resto, dato che il medico “alternativo” non faceva fare aspirato, analisi del sangue e delle feci o spirometria, non avevano neanche controllo su quello che stava accadendo. Vogliamo credere che non avevano controllo? Ma avevano di fronte a loro il ricavato delle loro scelte e potevano ben vedere come stavano lentamente uccidendo il loro figlio.

Comunque evidentemente, il loro modo di vedere le cose è stato così forte da convincere chiunque gravitava intorno (parenti prossimi e amici) che tutto andava bene, anche quando il medico “alternativo” ha prescritto l’ossigeno (a caso per tempi e modi) al piccolo. Sembra che solo dopo diversi mesi da quest’ultima fase si siano rivolti al centro FC dietro costante pressione di qualcuno che non ci vedeva chiaro. Purtroppo troppo tardi.

Forse qualcuno aveva avuto il sentore che la cosa potesse finire male, ma non aveva sufficiente conoscenza dei fatti per poter fare intervenire di legge qualcuno che tutelasse il piccolo. Non so se ci siano state segnalazioni o denunce da parte del centro FC alle autorità per l’accaduto, ma temo che per i genitori non ci sarà punizione nè rimorso, dato che non hanno denunciato il medico che ha favorito questo scempio per non contribuire ad alzare un polverone sulla storia che li vede più carnefici che vittime.

Fra parentesi, lo stesso medico so che ha mandato in ospedale in gravi condizioni altri 3 bimbi non FC, chi totalmente privato di proteine, chi con una banale infezione trascurata e diventata grave perche’ non curata con antibiotici. Nessuno dei genitori di questi ha sporto denuncia, ma si sono dichiarati unici responsabili.

Per questo vi chiedo:

1) Esiste una qualche forma di tutela per i piccoli pazienti FC a garanzia della loro salute, nel caso in cui i genitori decidessero di affidarsi alle cure di un medico che fa cure “alternative” non dimostrate efficaci da nessun tipo di ricerca?

2) Quali cure non effettuate nel protocollo previsto per un malato di FC, possono far sì che una denuncia nei confronti dei genitori non ottemperanti gli imponga di prendersi cura del bambino ? (es.: si puo’ avere la FC ad espressione completa e non assumere creon ? si puo’ non fargli fare fisioterapia ? si puo’ usare antibiotico in dosi normali da non FC o non usarlo affatto ? si puo’ fare tutto questo e non essere denunciati per omissione di cure ?)

3) Nel caso ci fosse il sospetto di responsabilità dei genitori nella morte di un figlio per non aver adeguatamente curato il figlio, possono i medici sporgere denuncia? Con quali conseguenze ?

4) Nel caso in cui i suddetti genitori denunciati per mancate cure non sporgessero a loro volta denuncia contro il medico “alternativo” che continuerebbe così a fare danni, possono farlo i medici del centro al posto loro ? puo’ farlo la Fondazione? puo’ farlo l’ Associazione dei genitori?

5) Dato che in gran parte delle regioni italiane esiste lo screening neonatale e chiunque si rechi ad un centro entra a far parte del registro dei malati fc, non sarebbe possibile introdurre una lettera di richiamo standard che ogni 3-5 anni monitorasse stato di salute e di tipo cure effettuate ? (così come si fa per altre malattie o ad esempio per il pap test).

Risposta

Ho avuto modo di leggere i quesiti che venivano posti e, senza alcuna pretesa di esaustività, ma solo in relazione ad uno studio che ho fatto per una relazione da me tenuta al Consiglio Superiore della Magistratura, lo scorso anno, in tema di “Consenso del minore ai trattamenti sanitari. L’intervento del giudice e del pubblico ministero minorile” ( che vi allego per conoscenza) penso di potere dare una risposta nei termini seguenti:

1) Esiste una qualche forma di tutela per i piccoli pazienti fc a garanzia della loro salute, nel caso in cui i genitori decidessero di affidarsi alle cure di un medico che fa cure “alternative” non dimostrate efficaci da nessun tipo di ricerca?

Problema analogo si è posto, a quanto mi risulta, soprattutto in relazione a patologie oncologiche, soprattutto nel diffondersi, qualche anno fa, della c.d. ” terapia Di Bella” vs. Chemioterapia, quest’ultima, a differenza della prima, prevista dai protocolli e ampiamente sperimentata. Se non erro, a fronte, in particolare, di possibilità di cura, e anche di percentuali di guarigione, tutto sommato, elevate, specie in casi di patologie ematologiche, alcuni genitori avevano rifiutato per i figli la chemioterapia, considerata troppo pesante, ricorrendo a cocktail di medicinali, riconducibili appunto alla c.d. ” Di Bella” se non addirittura a indirizzi ancora diversi.

Ora, posto che il problema si pone esclusivamente là dove il paziente sia incapace, per età o per altro motivo, ed altri – il rappresentante legale e, quindi, nel caso di minorenne, il genitore che sia titolare di potestà – sia chiamato a decidere per suo conto ( posto che il soggetto maggiorenne capace ha pieno diritto di rifiutare le cure o di adire cure ” alternative”), direi che l’esistenza di una terapia studiata e sperimentata, a confronto con rimedi “alternativi” privi di rigore scientifico, o comunque non adeguatamente sperimentati, fa propendere senz’altro per la prima, con conseguente possibilità che la condotta del genitore che rifiuti di sottoporre il figlio alle cure sia valutata come pregiudizievole per il figlio, e quindi tale da giustificare un’eventuale limitazione della potestà genitoriale.

IN concreto, una Autorità Giudiziaria – in linea di massima, il Tribunale per i minorenni – potrebbe intervenire a limitare la potestà proprio in materia di scelte terapeutiche, sostituendo la non- volontà dei genitori con un intervento proprio, ovvero con la nomina di un terzo ( qualora, ad es. il T.M. ritenga possibile “sospendere” la potestà nominando un tutore ancorché provvisorio o un curatore a questi limitati fini) e, in tal caso, non prescrivendo in proprio le cure ( i giudici sono giudici e non fanno i medici!) ma “autorizzando i sanitari a praticare le cure ritenute necessarie secondo scienza e coscienza“. In realtà, si tratta di provvedimenti che abbastanza sovente i Tribunale minorili adottano, ad es. nel caso di rifiuto di trasfusioni e/o interventi chirurgici da parte di genitori “Testimoni di Geova”

2) Quali cure non effettuate nel protocollo previsto per un malato di fc, possono far sì che una denuncia nei confronti dei genitori non ottemperanti gli imponga di prendersi cura del bambino ? (es. : si puo’ avere la fc ad espressione completa e non assumere creon ? si puo’ non fargli fare fisioterapia ? si puo’ usare antibiotico in dosi normali da non fc o non usarlo affatto ? si puo’ fare tutto questo e non essere denunciati per omissione di cure ?)

Credo che su questo punto si tratti di verificare quali siano i protocolli; non essendo un medico, non potrei che richiamare il fatto che, a quanto mi pare di capire, la terapia sperimentata comprende una serie di interventi, fisioterapici, farmacologici ecc., un certo regime di vita, penso a condizioni igieniche particolari e così via: forse le prospettive di limitare i danni della patologia sono legate proprie ad una pluralità di fattori, e in questo senso è forse necessario che tutti possano concorrere.

Detto questo, va fatta una fondamentale distinzione tra la c.d. ” denuncia” per omissione di cure, che presuppone forse un’ipotesi di penale responsabilità e, invece, una condotta genitoriale pregiudizievole, che non necessariamente integra un reato ma può giustificare, appunto, un intervento dell’A.G. minorile. Io mi focalizzerei su quest’ultima, anche per il significato che può avere, di prevenire danni maggiori e di sollecitare una collaborazione nell’interesse del piccolo paziente, non tanto sul fine di punire, che rischia di non raggiungere alcun risultato.

Diverso invece è il caso del sanitario che, praticando cure non sperimentate e omettendo di ricorrere alle terapie ” ufficiali” può incorrere in responsabilità, oltre che deontologiche, anche penali, qualora si realizzi un evento lesivo ( in ogni caso, comunque, si rischia di intervenire quando ormai è troppo tardi..).

3) Nel caso ci fosse il sospetto di responsabilita’ dei genitori nella morte di un figlio per non aver adeguatamente curato il figlio, possono i medici sporgere denuncia? Con quali conseguenze ?

Certo, vale il discorso di prima; purtroppo la responsabilità penale viene, in tali casi, accertata solo dopo molto tempo e, soprattutto, a danno ormai irreparabilmente fatto.

Pertanto, vedrei questa più come una sorta di “minaccia”. E vale, comunque, il richiamo al famoso caso dei genitori Oneda, giudicati per omicidio volontario del loro figlio, al quale avevano rifiutato le trasfusioni, ma mandati assolti da tale accusa sul presupposto, in buona sostanza, che essi volessero bene al loro bambino, e non ne volessero la morte[1].

Direi, allora, richiamando il punto 1):

– Vi è un dovere deontologico del sanitario[2] che, verificata la mancata adesione alle terapie da parte del legale rappresentante dell’incapace ( per il minore, appunto, il genitore che abbia la titolarità e l’esercizio della potestà ) deve segnalarlo all’A.G. In linea di massima, deve effettuare una segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni ( che ha competenza distrettuale, ad es. per Verona è a Venezia, in base al luogo di residenza del minore) che può avanzare un ricorso al Tribunale per i minorenni, chiedendo l’emanazione di provvedimenti limitativi/ablativi della potestà. Ricorso a tutela del minore, può essere fatto direttamente al Tribunale per i minorenni dall’altro genitore ( nel caso in cui non vi sia accordo tra i due genitori), o da altri parenti.

– Nel caso in cui il ricorso sia presentato, si instaura un procedimento di volontaria giurisdizione avanti il Tribunale per i minorenni ( peraltro, in casi di separazione-divorzio in corso tra genitori coniugati, la competenza potrebbe individuarsi anche in capo al Tribunale Ordinario) nel rispetto del contraddittorio delle parti, nel quale va sentito necessariamente il minore che abbia compiuto il dodicesimo anno d’età o che comunque abbia acquisito capacità di discernimento;

– A questo punto, si pone il problema del valore da attribuire al consenso diretto del minore, e qui le tesi sono diverse; in linea di massima, si può dire che, ai sensi delle convenzioni internazionali[3], va valutata anche la posizione del minore che, pure, a rigore di codice civile, sarebbe incapace di agire. Dottrina e giurisprudenza tendono a distinguere i grands enfants, dai bambini più piccoli, attribuendo ai primi, oltre al diritto all’ascolto, anche il diritto ad esprimere un motivato parere. Proprio su questo punto deve lavorare il giudice minorile, insieme ai sanitari curanti, per cercare di sollecitare un consenso, dando tutte le informazioni necessarie, ed evitando, se possibile, provvedimenti radicali. Del resto, il consenso realmente informato del paziente pare essere uno degli elementi prognostici positivi per il buon esito della cura.

– Infine, il Giudice minorile, qualora ritenga immotivato il rifiuto di cure, e di pregiudizio per il minore, può emettere un provvedimento limitativo della potestà, autorizzando i sanitari praticare le cure ritenute necessarie, a prescindere dal consenso dei genitori. Si pone, peraltro, un chiaro problema di efficacia, qualora non vi sia la necessaria alleanza terapeutica, e qui, lo ripeto, vedrei proprio indispensabile una sinergia tra giudici e medici, e anche avvocati delle parti.

4) Nel caso in cui i suddetti genitori denunciati per mancate cure, non sporgessero a loro volta denuncia contro il medico “alternativo” che continuerebbe così a fare danni, possono farlo i medici del centro al posto loro ? puo’ farlo la Fondazione ? puo’ farlo l’ Associazione dei genitori?

Direi che qui vi è un problema anche di carattere deontologico e suggerirei di verificare la giurisprudenza disciplinare degli Ordini dei Medici ed eventualmente rivolgere l’esposto, appunto, all’Ordine professionale: vero è che la sperimentazione sui minori è vietata, o meglio, prevista a determinate condizioni, quindi potrebbe anche non escludersi, in seconda ipotesi, una responsabilità penale ma, come ho detto, si rischia di arrivare troppo tardi.

Quanto alla segnalazione all’A.G. minorile, chiunque può farlo, soprattutto un soggetto qualificato quale può essere anche la Fondazione o un’associazione di genitori: ripeto, in tal caso, la segnalazione va trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni competente in base al luogo di residenza del minore ( che ha base distrettuale, cioè esiste dove esiste una Corte d’Appello, non necessariamente corrispondente alla regione, ad es. in Lombardia c’è a Milano e c’è a Brescia, in Veneto ed Emilia Romagna è solo nel capoluogo della Regione, e così via)

5) Dato che in gran parte delle regioni italiane esiste lo screening neonatale e chiunque si rechi ad un centro entra a far parte del registro dei malati fc, non sarebbe possibile introdurre una lettera di richiamo standard che ogni 3-5 anni monitorasse stato di salute e di tipo cure effettuate ? (così come si fa per altre malattie o ad esempio il pap test)

Direi di si, su base volontaria.

Brescia, 5 novembre 2012


[1] In quel caso, la Suprema Corte non ritenne di riconoscere la fattispecie dell’omicidio volontario, per violazione dell’Art. 40, secondo comma, c.p. ritenendo l’assenza dell’elemento della volontà del dolo (v. Cass. pen, Sez. I 13 dicembre 1983 n. 667 CED Rv. 162318); e, tra l’altro, dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta, così motivando: ” Nel contrasto ideologico tra l’interesse del minore al trattamento emotrasfusionale, cui risultavano subordinate le possibilità di sopravvivenza del medesimo, e il diverso atteggiamento dei genitori, ispirato a motivi di carattere religioso, non ha significato il richiamo all’art. 19 cost. per farne discendere una incapacità degli stessi genitori ad adempiere i doveri dalla legge previsti, posto che non è affatto in discussione il potere degli anzidetti soggetti a professare una fede religiosa bensì il diritto soggettivo del minore e dunque incapace di autodeterminarsi ad essere sottoposto ad una data terapia conseguente all’Obbligo di mantenimento e di assistenza a carico di chiunque abbia la cura di quell’incapace e, in chiave privilegiata, a carico dei genitori quale concreta esplicazione della potestà loro conferita. Ne deriva che si è al di fuori dell’Esercizio della libertà religiosa allorquando si pongano, come sua espressione, contegni elusivi dei divieti e delle imposizioni di cui alle leggi penali. (fattispecie in tema di omicidio, essendosi rapportata la morte di un minorenne, affetto da morbo di Cooley, ex art. 40 capoverso cod. pen. al contegno omissivo dei genitori, che si opponevano alle terapie emotrasfusionali per motivi di fede religiosa).

[2] L’art. 37 del codice deontologico dei medici recita: ” Allorché si tratti di minore o di interdetto il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale ( …). In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili”.

[3] Dalle convenzioni internazionali, si trae conferma che il minore è ora visto soggetto, non più oggetto, di diritti: l’Art. 12 della Convenzione ONU sui Diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 ( ratificata dall’Italia con l. 27 maggio 1991 n. 176); l’Art. 6, secondo comma della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta ad Oviedo il 4 aprile 1997 (la cui ratifica è stata autorizzata in Italia con l. 28 marzo 2001, n. 145, ma ad oggi non seguita dalla emanazione dei decreti legislativi necessari per l’adattamento del nostro ordinamento ai principi e alle norme della Convenzione stessa, secondo quanto stabilito dall’art. 3 della citata legge: Ritenuta valida quale criterio ermeneutico: cfr. Cass.,Sez. I Civile, 16 ottobre 2007 n. 21748, in Dir.famiglia e persone 2008, 77; gli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 ( ratificata dall’Italia con l. 20 marzo 2003 n. 77), prevedono l’obbligo di consultare il minore di persona nelle situazioni che lo riguardano e l’obbligo di tenere conto della sua opinione in relazione alla sua età e al suo grado di maturità o capacità di discernimento.

L’Art. 5 della Convenzione di Oviedo sancisce che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato“; il successivo Art. 6 ai commi 2 e 3 prevede che ” Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità.”

________________________________________________________________________________________________

Emma Avezzù, (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Brescia)


Se hai trovato utile questa risposta, sostieni la divulgazione scientifica

Dona ora