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21 Febbraio 2022

Perché la scoperta del gene CFTR sarebbe da Nobel

“La scoperta del gene CFTR ha rappresentato una svolta fondamentale che ha cambiato radicalmente la vita di moltissime persone in tutto il mondo. Un risultato talmente rivoluzionario da essere degno del premio Nobel”. Così scrive John Bergeron, professore emerito di anatomia e biologia cellulare alla McGill University (Montréal, Canada), in un articolo di opinione di qualche settimana fa.
Il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina viene assegnato ogni anno per scoperte di grande importanza nelle scienze della vita o nella medicina. La candidatura è su invito e la scadenza per la presentazione dei nomi era fissata a fine gennaio. I nomi dei candidati non sono pubblici, ma Bergeron auspica che la scoperta del gene della fibrosi cistica non venga trascurata.
Abbiamo preso spunto dal suo commento per raccontare la storia della scoperta del gene CFTR e dell’evoluzione della malattia.

La scoperta del gene CFTR è del 1989
All’epoca (anni Ottanta) non era noto cosa fosse meccanicamente sbagliato nelle persone con FC, non si conosceva la sequenza di DNA responsabile della malattia né cosa rendesse il gene non funzionante. Tutto quello che si sapeva era che c’era qualcosa di sbagliato nelle ghiandole sudoripare, nel pancreas, nei reni e nei polmoni, e che la maggior parte dei pazienti morivano da bambini. In quegli anni scoprire il gene della FC era anche più ambizioso e tecnologicamente difficile che andare sulla Luna e tornare indietro. Ma gli scienziati John Jack Riordan e Lap-Chee Tsui del Sick Children Hospital di Toronto (Canada) erano decisi a identificare il gene e la mutazione della fibrosi cistica e si impegnarono in un processo di sequenziamento del DNA su piccola scala; nella loro strada, incontrarono Francis S. Collins, dell’Università del Michigan, che stava cercando di capire la stessa cosa. Riordan, assieme a Tsui e Collins, oggi è riconosciuto come il padre della scoperta del gene CFTR avvenuta nel 1989.

A proposito della scoperta, i tre scienziati raccontano sempre un aneddoto: a maggio 1989 si trovavano tutti e tre a un workshop di terapia genica e la sera rimanevano nella loro stanza a fissare il fax in attesa della conferma dei risultati di uno studio su un trasportatore ionico potenzialmente coinvolto nella fibrosi cistica. Finalmente, una sera, dal laboratorio di Tsui arrivò il documento che conteneva la sequenza del gene CFTR e l’identificazione del difetto alla base della malattia. Il risultato venne poi pubblicato a settembre sulla rivista Science. Trent’anni dopo, anche se il fax è uno strumento ormai desueto, il racconto è più attuale che mai e ci fa capire quanta conoscenza su questa grave malattia ereditaria si è accumulata in un arco di tempo relativamente breve, in termini di ricerca scientifica.
“La fibrosi cistica ha dato un contributo alla scienza che è molto più grande di quanto la scienza stessa abbia dato alla malattia”, racconta Riordan in un’intervista del 2009 su Science.

La storia della fibrosi cistica inizia prima
La storia della fibrosi cistica inizia però molto prima, nel 1936, con il medico svizzero Guido Fanconi a cui dobbiamo la prima descrizione clinica. Egli la mise in correlazione con altre due caratteristiche della malattia: oltre al danno polmonare –  le bronchiectasie –, l’interessamento del pancreas e la presenza della celiachia. Due anni dopo, l’anatomopatologa americana Dorothy Anderson sull’American journal of diseases of children descrive e interpreta i risultati delle molte autopsie condotte su bambini deceduti in seguito a gravi problemi di malassorbimento. Anderson concluse che le cisti presenti sul pancreas e i polmoni di questi bambini fossero dovute a una stessa malattia, che chiamò “fibrosi cistica del pancreas”. Si trattava di risultati sorprendenti che furono il punto di partenza per ulteriori studi che portarono un altro grande medico, Sydney Farber, padre dell’oncologia pediatrica, a definire la “mucoviscidosi”, come la chiamò negli anni Quaranta, un’unica malattia sistemica. Nel 1948, durante un’estate di caldo record nella città di New York, in cui molti bambini presentarono prostrazione e gravi sintomi di disidratazione, Paul di Sant’Agnese intuì come la forte concentrazione di sale nel sudore dei bambini affetti da fibrosi cistica rappresentasse un parametro diagnostico della malattia. Fu lui a fondare, nel 1955, l’attuale Cystic Fibrosis Foundation (CFF). L’anomalia del “sudore salato” è stato il principale campo di indagine di Paul Quinton, ricercatore all’Università di San Diego, molto popolare e stimato tra i malati per essere egli stesso affetto da fibrosi cistica. È stato il primo a intuire come il malfunzionamento del canale del cloro non fosse uguale per tutti i malati. Mentre i ricercatori stavano esplorando gli aspetti ereditari della malattia, l’approccio all’assistenza, prima Oltreoceano e poi in Europa, ha visto il rapido ingresso di trattamenti ancora oggi basilari nella cura dei sintomi. Dai trattamenti antibiotici per via endovenosa all’uso di soluzioni saline ipertoniche per stimolare l’escreato, dalla nutrizione ricca di acidi grassi insaturi all’impiego degli enzimi pancreatici per migliorare l’assorbimento dei nutrienti, dalla fisioterapia respiratoria all’uso di mucolitici specifici per la fibrosi cistica. Ma il target, da molti anni, era trovare la causa della malattia, cioè quale fosse il gene sbagliato per poterlo, idealmente, sostituire con uno corretto: nel 1989 sembrava un traguardo finalmente raggiungibile per la fibrosi cistica.

L’arrivo dei modulatori di CFTR
Comprendere i complessi meccanismi di questa proteina non era semplice. Dopo anni di ricerca si riuscì finalmente a scoprire come il gene CFTR interagisse con altri geni che potevano avere effetti modulatori, positivi o negativi, sulla sua funzionalità. E nel 2008 sono arrivate le nuove prospettive farmacologiche con la messa a punto di molecole in grado di migliorare l’attività della proteina CFTR: un piccolo trial presentato alla North American Cystic Fibrosis Conference dimostrava l’efficacia del composto VX770 sulla mutazione di classe tre, ovvero lieve, G551D. Oggi il farmaco è noto come ivacaftor e rappresenta il pioniere delle attuali terapie a base di correttori e potenziatori come Kaftrio, Orkambi e Symkevi, estesi per la cura dei pazienti portatori della mutazione più frequente F508del.

Nel 2009, Riordan sottolineava come l’identificazione della causa della malattia fosse “il riconoscimento dell’enorme sfida posta dalla biologia umana: non è come fossimo andati sulla Luna, ma su Marte”. Oggi, che si vagheggia di atterrare su Marte nei prossimi decenni, la scoperta del gene CFTR meriterebbe davvero un riconoscimento da Nobel, come John Bergeron auspica.