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6 Luglio 2005

Da un farmaco antidiabetico la cura per la epatopatia CF? Una ricerca finanziata dalla Fondazione FFC

06/07/2005

Verranno pubblicati nel prossimo numero di Gastroenterology, la miglior rivista internazionale del settore, gli importanti risultati ottenuti sulla terapia farmacologia della epatopatia associata a Fibrosi Cistica, uno studio finanziato dalla Fondazione FFC (progetto FFC #11/2003). Tra le manifestazioni della FC si ha in un numero consistente di casi una complicanza epatica dovuta all’ostruzione dei canalicoli biliari da parte di secrezioni biliari anomale: non è peraltro ancora ben definita la patogenesi di questa alterazione né si conoscono trattamenti di provata efficacia.

Per i pazienti con fibrosi cistica affetti da malattia epatica, l’unica strategia terapeutica sinora disponibile è quella di somministrare un acido biliare, l’UDCA, che “protegge le cellule epatiche” e sembra rallentare la progressione della malattia. Il gruppo di ricerca diretto dal Dr.Mario Strazzabosco, con la fondamentale collaborazione del Dr. Spirli, ha osservato che la glibenclamide, un farmaco della famiglia delle sulfoniluree da tempo usato come antidiabetico orale, stimolava la secrezione biliare negli animali da esperimento. Questo dato era assolutamente inaspettato, in quanto la glibenclamide è un noto inibitore del canale CFTR. I ricercatori hanno quindi ragionato che la possibile spiegazione era che glibenclamide stimolava una via secretoria diversa dal CFTR.

Combinando una serie di tecniche di elettrofisiologia e biologia molecolare e cellulare i ricercatori del CeLiveR hanno potuto dimostrare che glibenclamide ed altre sulfoniluree erano in grado di generare una secrezione di bile in un modo del tutto indipendente da CFTR e che questo meccanismo era in grado di correggere il difetto di secrezione di bile in topi portatori del difetto genetico della Fibrosi Cistica. Si tratta di un meccanismo molto simile a quello tramite il quale la glibenclamide stimola la secrezione di insulina nelle beta-cellule pancreatiche. In queste cellule la somministrazione di glibenclamide stimola la fuoriuscita dell’insulina contenuta in vescicole intracellulari che vengono trasportate alla membrana plasmatica dove esse scaricano il loro contenuto. Nel caso dell’epitelio biliare colpito da fibrosi cistica, glibenclamide stimola il movimento di vescicole cariche di liquido che viene scaricato nella bile rendendola più fluida. Ovviamente questi dati sono stati generati in un modello cellulare. Sono necessari altri studi per verificare se le sulfoniluree possano curare la malattia negli animali in vivo e poi se si possano costruire farmaci che riescano a sfruttare questo meccanismo di secrezione della bile, senza causare un eccessiva caduta della glicemia, e quindi con un profilo di sicurezza tale da poter essere usati nell’uomo.

“Molto resta da fare, tuttavia questi risultati contribuiscono a gettare una ulteriore luce di speranza per questi pazienti e le loro famiglie” commenta il Dr. Strazzabosco “Non ho alcun dubbio che i prossimi anni vedranno prima lo sviluppo e poi l’applicazione clinica di numerosi farmaci che, tramite meccanismi diversi, saranno in grado di migliorare al sopravvivenza e la qualità di vita di questi pazienti. La nostra è solo una delle vie che si stanno percorrendo, molte altre sono in corso di sviluppo. Lo scenario futuro più probabile è quello che vedrà una rosa di farmaci adatti a pazienti con Fibrosi Cistica ma con genotipi ed espressione fenotipica diversa.”