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28 Agosto 2006

E’ giusto che i minori siano sottoposti al test per sapere se sono portatori? Una revisione delle linee guida e delle opinioni sull’argomento

Dr. Graziella Borgo

Obiettivo di questo studio che proponiamo (1) è rivedere tutto quello che è stato pubblicato sotto forma di normative etiche e linee-guida cliniche riguardo alla questione se sia opportuno che bambini e adolescenti siano sottoposti ad un’analisi del loro DNA per volere dei genitori (o d’altri parenti che esercitano la funzione dei genitori) con il solo scopo di sapere solo se il minore è portatore sano di una mutazione genetica. Non si parla di un’analisi del DNA per sapere se il minore è malato, perché in questo caso la necessità di eseguirla è fuori discussione. Il risultato di un’analisi di questo genere non ha nessuna implicazione per la salute del soggetto che l’ha eseguita (il portatore per esempio di una mutazione del gene CFTR è sano), gli servirà solo quando un domani vorrà avere dei figli e vorrà evitare il rischio di averli malati.

E’ un problema che le coppie che hanno un bambino affetto da FC e altri figli sani ancora piccoli conoscono bene. Una volta che attraverso il test del sudore è stata esclusa in questi altri figli la malattia, il sollievo è enorme, ma subito dopo nasce anche il desiderio di sapere se per caso sono portatori e di qui la richiesta ai sanitari di sottoporli al test. La risposta può essere varia: talora i sanitari sono d’accordo, più spesso sono contrari. Quando sono contrari le ragioni del rifiuto sono che dovrà essere il soggetto stesso, una volta raggiunta la maggiore età, a decidere se fare o non fare il test e che lo farà quando sarà in grado di capirne il risultato. I sanitari vogliono in questo modo salvaguardare alcuni principi etici importanti nel campo dei test genetici: il principio dell’autonomia e consapevolezza della scelta e della riservatezza del risultato. Ci sono inoltre alcune ricerche che indicherebbero come la diagnosi di portatore di un’anomalia genetica fatta nell’infanzia arrecherebbe al bambino svantaggi psicosociali: involontariamente chi gli sta attorno lo tratterebbe come un diverso, talora creandogli un clima d’iperprotezione ingiustificato. Ma sono ragioni che ad alcuni genitori appaiono molto teoriche e la discussione con i sanitari può diventare anche molto accesa.

Per problemi come questi, in cui non ci sono norme giuridiche vincolanti, le associazioni scientifiche cercano di mettersi d’accordo scrivendo documenti chiamati “linee-guida”, che rappresentano il parere comune degli esperti che vi hanno collaborato. Le linee-guida servono ad orientare i comportamenti pratici inerenti l’argomento discusso.

Nella ricerca in questione sono state esaminate 14 differenti linee-guida sul problema del test del portatore nei minori, elaborate da 24 associazioni o società scientifiche (molte americane e inglesi, una canadese, una europea, una francese, una tedesca, una giapponese), nel periodo 1994-2003. Sono organizzazioni composte in prevalenza da medici, genetisti, pediatri; una da esperti di problemi etici; una sola è formata da persone estranee all’area medica ma direttamente toccate dal problema (in altre parole i genitori di malati di una malattia genetica e/o portatori sani della stessa malattia).

Tutte le linee guida esaminate sono concordi nel raccomandare di rimandare il test genetico fino al momento in cui “il minore potrà partecipare direttamente alla decisione che lo riguarda”. Questa è l’affermazione di principio generale; altri aspetti da essa derivanti sono affrontati talora con minor chiarezza e omogeneità:

1) Riguardo all’età raccomandata: la minore età termina legalmente con i 18 anni e nella maggior parte dei documenti quest’età viene implicitamente accettata come quella minima utile per l’esecuzione del test; alcuni però sostengono che è meglio parlare di un arco abbastanza elastico d’anni, perché è importante valutare la capacità dell’adolescente di decidere e di capire, piuttosto che attenersi ad una rigida età-soglia

2) Riguardo a chi deve informare il minore sulla necessità di sottoporsi al test: viene detto che spetta ai genitori informare il figlio e che debbono farlo quando ha raggiunto l'” età riproduttiva”; in un documento viene però sottolineato il fatto che i genetisti e più in generale chi svolge l’attività di consulenza genetica hanno la responsabilità di ricordare ai genitori di informare il figlio, fornendo i suggerimenti per farlo nella maniera più opportuna

3) Riguardo ai casi eccezionali: cinque linee-guida precisano alcune circostanze in cui l’analisi genetica del minore può essere indispensabile per ottenere informazioni mediche utili ad altri componenti della famiglia e sostengono che in questi casi non si può fare a meno di eseguirla.

In effetti, in alcune malattie alcune indagini genetiche (analisi dell’aplotipo) non possono prescindere dall’analizzare proprio tutti i componenti della famiglia e quindi anche i minori.

E’ interessante però il fatto che due linee guida (entrambe inglesi) valutano come caso eccezionale anche la situazione in cui il test non è necessario per esigenze mediche, ma è richiesto in maniera ripetuta e insistente dai genitori. Se i sanitari oppongono un rifiuto ostinato alla loro richiesta, l’impatto può essere molto negativo e l’ansia dei genitori accresciuta ulteriormente, perciò, secondo questi esperti, “il caso eccezionale” va accettato e il test eseguito.

4) Riguardo a un riconoscimento accidentale della condizione di portatore. Può succedere che il minore sia accidentalmente sottoposto al test genetico e riconosciuto come portatore: per esempio nel corso di una ricerca scientifica, o nell’ambito di una diagnosi prenatale (l’analisi che, durante la gravidanza di una coppia che ha già figli malati, viene fatta per escludere la malattia) o in occasione di uno screening neonatale. In questi casi alcune linee guida (americane e inglesi) sostengono che l’informazione deve essere riportata ai genitori, altre sono di parere contrario. La questione è aperta.

Gli autori di questa rassegna non forniscono conclusioni sull’argomento; sottolineano come limite della loro indagine il fatto che solo una delle linee guida trovate ed esaminate era stata elaborata dai diretti consumatori (cioè le persone direttamente toccate dal problema), mentre potrebbe essere utile in futuro che le organizzazioni dei malati e dei familiari dei malati avessero maggior peso nella formulazione di questi documenti.

1) Borry P et al. “Carrier testing in minors: a systematic review of guidelines and position papers” European Journal of Human Genetics 2006; 14: 133-138