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21 Gennaio 2019

Una bimba con FC che improvvisamente rifiuta gli enzimi pacreatici che prima assumeva regolarmente senza problemi

Autore: Paolo
Domanda

Buongiorno, da circa una settimana, mia figlia di quasi tre anni (diagnosi di FC dalla nascita) si rifiuta in modo categorico e assoluto di prendere gli enzimi pancreatici che ha sempre assunto con estrema naturalezza e senza mai alcun problema, sin dal primo mese di vita. Fino ad oggi è sempre stata bene dal punto di vista medico, è cresciuta secondo una curva costante intorno al 50° percentile e, anche se non è mai stata una mangiona, ha sempre comunque mantenuto un buono stato ponderale. Poco meno di un mese fa, a seguito della comparsa di una tosse dovuta a un rinovirus, si è reso necessario introdurre una terapia antibiotica per via orale, alla quale ha mostrato anche in questo caso il completo rifiuto, per cui, dopo avere esperito tutti i tentativi possibili, si è trovato l’espediente di nascondere lo sciroppo nella spremuta di arance o mandarini, che ha quindi assunto regolarmente. Come è possibile immaginare, i precedenti tentativi di farle prendere il suo antibiotico si sono rivelati vani, ma hanno causato sicuramente uno stress emotivo nella bambina. Da un giorno all’altro poi, improvvisamente, al momento del pasto, ha detto che non voleva più prendere gli enzimi e nulla e nessuno, nè con le buone nè con le cattive, è riuscito a farle cambiare idea, tanto da costringerci, visto il calo di peso già visibile, a mescolarli con dose aumentata a l latte di soia e biscotti granulari che prende a colazione, con evidente diminuita efficacia degli stessi, oppure a nasconderli in un cucchiaino di zucchero di canna prima dei pasti. Questi peraltro si sono fatti molto meno abbondanti e stiamo integrando con preparati ad alto contenuto calorico. È evidente che questo suo categorico rifiuto ci ha spiazzato e ci sta destando molta preoccupazione, perchè non troviamo una chiave di lettura e delle azioni conseguenti da mettere in atto per farla tornare indietro sulla sua decisione. Essendo ancora molto piccola, non è nemmeno facile farle capire che queste pastiglie sono importanti per la sua salute e la sua crescita. Analogamente, non siamo nemmeno riusciti a capire quale sia stato il motivo scatenante di questo suo improvviso rifiuto, anche perché, a parte il periodo ricordato del tentativo di darle lo sciroppo per la tosse, non ha mai vissuto momenti di ansia o tensione famigliare né mai ha manifestato incertezze sull’assunzione dei suoi enzimi, ormai facenti parte della sua routine quotidiana. Chiederemo un aiuto di una psicologa per dare una chiave di lettura della situazione e qualche consiglio da adottare per risolvere il problema, per il quale la tempistica adesso riveste un ruolo fondamentale. Volevo quindi chiedere se siete a conoscenza di altri casi analoghi e di come eventualmente sono stati approcciati. Grazie.

Risposta

L’età dei 3 anni è particolare per ogni bambino, è un’età di passaggio, più critica di quanto si possa pensare. Spesso il cibo diviene il bersaglio di sollecitazioni emotive che specificatamente niente hanno di legame con il cibo stesso. Così come molto spesso i comportamenti quotidiani e usuali possono essere bersaglio di cambiamenti improvvisi quando le emozioni si affacciano nei bambini con una certa difficoltà nell’essere maneggiate.

Detto questo, che intrinsecamente vuol dire che anche un rifiuto è una comunicazione, dalla descrizione che viene fatta della bambina mancano informazioni relative alle abitudini quotidiane che la stessa sta vivendo: ad esempio frequentazione o meno della scuola materna, eventuali cambiamenti di sè stessa (es. controllo sfinteri), ma anche delle persone vicine, abitazione, lavoro e tempi organizzativi, modifiche di abitudini consolidate, assenza di un animale prima presente, nascita di cugini, etc. In sintesi, serve riflettere se nell’ambito del suo “Sè” sociale non sia accaduto qualcosa, considerando che a volte anche accadimenti periferici possono generare nel bambino una necessità di adattamento nel confronto.

Se niente può essere considerato e niente sembra essere accaduto, dobbiamo considerare il rifiuto degli enzimi come un bisogno di ruolo, cioè qualcosa che serve alla bambina per affermare sè stessa e quindi appare sconveniente contestare questo suo bisogno. Non riterrei, infatti, dal racconto fatto, che si possa collegare il disgusto e rifiuto dell’antibiotico nonchè la forzatura nel farglielo prendere, al rifiuto degli enzimi, a meno che la bambina non abbia percepito e si sia poi resa conto, diciamo, dell’inganno, cosa che mi sembra di aver capito non sia accaduta. Allo stesso modo non sento di poter collegare il rifiuto degli enzimi al confronto con la malattia, in quanto dalla descrizione fatta sugli enzimi non si era mai strutturata un’ansia familiare.

Dobbiamo, credo, contestualizzare questo comportamento come un momento in cui la bambina ha bisogno di forzare un proprio ruolo e si mette in confronto con l’adulto di riferimento. Se analizziamo in questo senso, dobbiamo valutare se tale bisogno di forza del ruolo non accada anche su altre aree, ad esempio il vestirsi o il mettere a posto i giochi o ancora lo spengere la televisione. Se così fosse potremmo considerare che gli enzimi sono anch’essi un altro aspetto di forza del Sé. In questa possibile analisi si inserisce anche il fatto che la bambina ha ridotto l’apporto di cibo, aspetto che deve essere considerato altro elemento di comunicazione, che potrebbe essere sì transitorio e casuale ma non si può escludere a priori come manifestazione di fatica e o disagio. Se invece ci focalizziamo solo sugli enzimi e sul loro rifiuto dovremmo comunque considerarlo come la comunicazione di un bisogno di affermarsi e come tale cercare di assecondarlo.

Naturalmente, non è possibile pensare di non darle gli enzimi e perciò serve che al momento e ancora per un periodo si continui a nasconderli, ma assolutamente senza mai fare riferimento durante la giornata al fatto che deve prendere gli enzimi, non si parla più degli enzimi ma allo stesso momento si lasciano in vista. In aggiunta a ciò o in alternativa si potrebbe passare a una strategia in cui, insieme all’azione sugli enzimi, come se niente fosse, ne sollecitiamo un’altra: per esempio, “allora, ora mettiamo a posto questi poi prendiamo gli enzimi e poi si finisce di mangiare”. Come se i genitori parlassero più tra sè stessi che non direttamente, a richiesta, alla bambina. Disinvestendo quindi sull’aspettativa. In genere, quando accade questo poi il bambino cede al suo bisogno di controllo e si possono riprendere le abitudini di sempre.

Ovviamente, qualora in questo percorso la bambina facesse un riferimento esplicito agli enzimi si dovrebbe esplorare in modo diretto con lei se ci sono delle difficoltà o dei problemi in proposito e si dovrebbe fare questo in modo diretto. Chiederle, ad esempio, cosa sia accaduto con i suoi chicchi, usando quindi il modo abituale con cui si riferisce agli enzimi, in modo giocoso, e come mai fa loro la guerra e cosa hanno ora di tanto antipatico, cercando così di capire se per caso qualcuno non le abbia chiesto qualcosa degli enzimi al di fuori della famiglia: a volte, fra bambini, anche molto piccoli, può capitare. Pur nella considerazione di quanto sopra ritengo però più probabile che sia accaduto qualcosa sul confronto con sè stessa e o con l’esterno, per cui, attraverso questa rigidità del rifiuto, la bambina può sentirsi più forte.

Spero di essere stata di aiuto anche se, con qualche elemento più preciso che contestualizzi la vita della bambina, si potrebbero articolare meglio queste riflessioni.

Dr. Paola Catastini (psicologa, già attiva presso il Centro FC di Firenze)


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